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Castellammare - La Cassazione cancella l'incandidabilità dell'ex assessore Fulvio Calì. «Ristabilita la verità»

Si chiude una vicenda che impone una riflessione seria e profonda sull’uso – e abuso – di certi strumenti».

tempo di lettura: 4 min
15/10/2025 11:34:34

«Dopo un lungo e faticoso cammino giudiziario, fatto di ostacoli, incertezze e prove difficili, oggi posso finalmente voltare pagina. Con l’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Napoli, avverso la sentenza della corte di appello si chiude in via definitiva una lunga e tormentata vicenda giudiziaria che mi ha ingiustamente coinvolto».  Commenta così, l’ex assessore all’urbanistica Fulvio Calì, la sentenza della Cassazione che ha messo la parola fine al calvario giudiziario che lo ha riguardato a seguito dello scioglimento dell’amministrazione comunale del febbraio del 2022.

In una lunga lettera, Calì – dopo aver ringraziato l’avvocato Gaetano De Stefano che lo ha seguito in questo percorso – ha voluto sottolineare come «la pronuncia della Corte pone fine a un percorso durato anni, dipanato lungo diversi gradi di giudizio, segnato da evidenti forzature interpretative, approssimazioni giuridiche e da un clima generale che ha finito per generare una grave lesione dell’onorabilità personale di chi, come il sottoscritto, ha sempre agito con trasparenza e rispetto delle regole istituzionali».

«La vicenda – ricorda - trae origine dallo scioglimento del Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 267/2000, fondato su una relazione ispettiva dai contenuti vaghi, generici e spesso contraddittori, che ha costruito un impianto accusatorio su valutazioni parziali e, in diversi casi, prive di riscontro fattuale. Un approccio che non può non destare perplessità, e che riflette una certa superficialità metodologica — tanto più inammissibile quando in gioco vi è la reputazione personale e la tenuta democratica delle istituzioni locali. Sin dall’inizio, la relazione dell’Organo ispettivo si è distinta per una lettura fragile e approssimativa di dinamiche amministrative complesse, con riferimento in particolare al settore urbanistico-edilizio, costruendo un quadro privo di riscontri oggettivi e di concrete responsabilità amministrative. Si è assistito a una sequela di affermazioni prive di concretezza e carenti, sotto il profilo della fondatezza, che più che chiarire, hanno contribuito a creare un clima confuso e strumentale. Il TAR Lazio, investito del ricorso contro lo scioglimento, chiamato a valutare la legittimità del decreto, ha adottato una decisione che, come rilevato successivamente dal Consiglio di Stato, si è fondata esclusivamente sul principio del "più probabile che non", senza alcuna valutazione approfondita e motivata degli elementi indiziari alla base del decreto, rinunciando di fatto ad una disamina puntuale delle contestazioni. Il Consiglio di Stato, con una sentenza puntuale e chiarificatrice, quanto esemplare ha quindi annullato la pronuncia del TAR, evidenziando la totale assenza di argomentazioni sostanziali a sostegno del provvedimento impugnato, riportando l’analisi su un piano di maggiore rigore giuridico. I giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato l’estrema genericità delle motivazioni, l’assenza di un’adeguata istruttoria e il vuoto argomentativo su cui si reggeva la decisione di primo grado. In parallelo, il Tribunale di Torre Annunziata ha accolto la richiesta di incandidabilità avanzata nei confronti di alcuni ex amministratori, tra cui lo scrivente. Tuttavia, anche in questo caso, la Corte d’Appello di Napoli ha riconosciuto l’insussistenza di qualsiasi nesso causale tra la mia condotta e l’operato come Assessore e lo scioglimento del Consiglio Comunale, rigettando in modo netto la richiesta ministeriale. Nonostante ciò, in un accanimento incomprensibile, il Ministero dell’Interno e la Prefettura hanno insistito con ulteriori ricorsi, generando un prolungato calvario giudiziario che ha avuto come unico effetto quello di aggravare la sofferenza personale, offuscare la verità e alimentare una narrazione profondamente ingiusta. Oggi, con l’ordinanza definitiva della Cassazione, si ristabilisce finalmente la verità dei fatti e si mette un punto fermo rispetto a una vicenda che, al netto della sua complessità, avrebbe richiesto maggiore responsabilità, obiettività, approfondimento e rispetto delle persone».

Quindi la sua riflessione finale sull’intera vicenda. «Si chiude una vicenda che impone una riflessione seria e profonda sull’uso – e abuso – di certi strumenti. Perché la trasparenza e la legalità non possono mai essere invocate come bandiere di comodo, né piegate a logiche estranee al diritto A conclusione di questo lungo percorso, permane la piena fiducia nella Magistratura che, seppur dopo un faticoso cammino, ha dimostrato equilibrio, rigore, imparzialità e capacità di discernimento. Resta tuttavia il rammarico per una vicenda che si sarebbe potuta evitare, e che ha generato ferite difficilmente rimarginabili sotto il profilo umano e istituzionale. Ma oggi, più che mai, emerge chiara la consapevolezza che chi ha agito nel solco della legalità e correttezza istituzionale non ha nulla da temere: la verità, anche se calpestata, prima o poi trova il modo di rialzarsi SEMPRE».

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