Cultura & Spettacolo
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Il Popolo stabiese venera i suoi Santi medici

Festa di antichissima tradizione.

tempo di lettura: 6 min
di Antonio Ziino
01/02/2018 12:48:57

Nel giro di pochi giorni, i fedeli di Castellammare di Stabia e circondario, hanno  modo di riaccostarsi, secondo la  tradizione lunga almeno quattro secoli, alle immagini dei santi  Ciro e Biagio che si venerano nelle  chiese parrocchiali dello Spirito Santo e della concattedrale. I due santi medici, ricevono da tempo importanti riconoscimenti per la loro dimensione ecumenica. Da secoli, infatti, infondono timore, per così dire,  per la loro benevola attenzione verso varie patologie che affliggono grandi e piccoli lungo il cammino della loro vita.

San Ciro si festeggia il 31 gennaio, specialmente in Campania e particolarmente a Napoli, Portici, Castellammare di Stabia, Vico Equense-

San Biagio, invece,  si festeggia il 3 febbraio nella chiesa cattolica e l'11 febbraio in quella ortodossa. Santo antichissimo, originario della Turchia, si venerava  nella chiesa di S. Biagio a Castellammare di Stabia, ubicata nella omonima grotta nel pressi del Rione San Marco. Oggi il Santo si venera nel duomo.

Nel 1695 il vescovo diocesano Annibale di Pietropaolo, sia per la lontananza del sito, una volta veramente lontano dal centro storico, sia perché l'ipogeo, caduto in stato di completo abbandono, decise di trasferire l'altare e la statua del Santo nella cattedrale dove ancora oggi, ormai da tre secoli,  si continua a celebrare la sacra liturgia.

San Biagio è ritenuto un "Santo potente", specialmente dal "popolo anziano" perché protegge la gola da affezioni morbose. Il giorno della festa, secoli or sono, come ora,  un pellegrinaggio di fedeli si reca nel duomo (oggi concattedrale), per riempire una bottiglietta di acqua che sgorga da una fontanina "sotto gli occhi del Santo". Molti sorseggiano dell’ acqua  fresca appena sgorgata.

San Biagio visse tra il III e IV secolo.  Esperto di medicina, visse per lungo tempo in una  grotta, forse per sfuggire alle persecuzioni in atto contro i cristiani. Fu nominato vescovo di  Sebaste, l'odierna Silvas nella Turchia orientale (conserva il patronato per le malattie della gola da quando guarì un ragazzo che rischiava di morire soffocato a causa di una lisca conficcatasi in gola).  Arrestato, fu condotto   innanzi al governatore Agricolao, che di fronte alla perseverante posizione di fede a Dio, fu flagellato con pettini usati per cardare la lana. La grotta di san Biagio nel Seicento fu affidata ai cardatori di lana (carminatores), i quali avevano come protettore il Santo). Poco distante vi è la località Carmiano.

Le prime comunità cristiane - risalenti a Stabia agli albori del cristianesimo - vivevano con passione la loro testimonianza che si manifestava nella disponibilità a imitare Gesù in tutto: nella predicazione itinerante e nel sacrificio estremo della propria vita.

Nei primissimi secoli le violente persecuzioni patite dalle comunità cristiane praticamente in ogni angolo del mondo allora conosciuto furono vissute come un segno premonitore della fine del mondo e il termine "martirio" divenne sinonimo di morte violenta patita per non rinnegare la fede.

Ai martiri fu attribuito il carisma della santità e la consapevolezza che i defunti condannati per la fede fossero pieni di Spirito Santo fu alla base del loro culto. La loro vita, così simile a quella di Gesù, era venerata come fonte di espiazione dei peccati di tutta il popolo cristiano.

Questa venerazione dei martiri fu all'origine anche della scansione sacra del computo dei giorni, ovvero dei calendari, poiché, dalla fine del II secolo, si prese a festeggiare il dies natalis del martire, ovvero il giorno della sua morte considerato però come giorno di nascita alla gloria di Dio.

Il martirio di S. Biagio, avvenne nel 315 o 316 sotto il regno dell'imperatore Licinio. Non è citato nel martirologio di san Gerolamo (347-419), ma in quelli europei del nono secolo.

Dal V secolo il culto dei martiri crebbe con il sorgere di cappelle, poi chiese e basiliche, elevate sulle loro tombe. Sempre in tale periodo furono fissati i criteri fondamentali attraverso i quali attribuire il titolo di martire: "doveva aver patito una morte violenta, dipesa da causa esterna e indipendente dalla propria volontà (allo scopo di evitare l'auto-martirio). Inoltre la morte doveva essere avvenuta a causa della propria fede o di virtù morale riferibile a Dio e doveva essere stata accetta  consapevolmente con una particolare predisposizione d'animo".

In Campania molti paesi e località sono dedicati al Santo: la considerevole attività di cardatura della lana praticata soprattutto dalle donne di campagna e montagna dove abbondavano i pascoli, favorì  la diffusione del culto del popolare Santo, al quale sono anche dedicate numerose leggende.

Ciro e Biagio, elevati agli onori degli altari, erano eremiti e come tutti gli eremiti le loro storie sfuggono ad indagini più complete per poter creare un inquadramento storico o perlomeno arricchirne la narrazione biografica.

I due Santi, secondo molti autori, nel secoli trascorsi venivano raffigurati con bimbi (san Biagio guarì un bimbo che aveva ingoiato una lisca di pesce) e  la palma, l'antica simbologia della palma del martirio e, in generale, la palma intesa come simbolo del Cristianesimo, si collega all'Oriente, cioè alla terra dove maggiormente si trova questo albero slanciato e vigoroso con possenti pennacchi di foglie disposti a raggio come quelli del sole. Si pensava che la pianta nel fiorire e generare i frutti (e quindi i semi) morisse: il legame con il martirio è quindi dovuto a una simbologia di sacrificio. La stessa simbologia si trova alla base nel motivo della candelabra.

Il suo significato è quello della vittoria, dell'ascesa, della rinascita e dell'immortalità. Si collega anche alla fenice e ha la funzione di albero della vita. La palma della dea Vittoria è un'iconografia nata in epoca romana. La simbologia cristiana, presente fin dall'epoca paleocristiana è legata a un passo dei Salmi, dove si dice che come fiorirà la palma così farà il giusto: la palma infatti produce un'infiorescenza quando sembra ormai morta, così come i martiri hanno la loro ricompensa in paradiso.

Questo simbolo, ovviamente è molto diffuso in tutto il mondo cristiano e largamente utilizzato nelle figurazioni, abbiamo notizia che anche in america il simbolo “giunse”  quelle zone. Nel 1901 alcuni emigrati Marinesi negli Stati Uniti donarono al paese la statua di San Ciro che venne sistemata a Piazza Duomo- oggi Piazza Saint Sigolene. Fino a quel momento, dice Franco Vitali, quello spiazzo era parte integrante della Matrice: una radura in terra battuta nella quale si sistemavano le bancarelle durante le festa. A San Ciro d’agosto, in particolare, vi si collocava lu tirrunaru. Era anche luogo di giochi; li passavano il tempo i bambini ma, specie la domenica pomeriggio, anche gli adulti! Uno dei giochi in cui gli adulti si dilettavano era “lu iocu di la pezza”; con l’istallazione del monumento a San Ciro, la piazza per così dire “si nobilitò”. Intorno alla statua venne posta una recinzione in ferro, un po’ come quella che cinge l’attuale monumento ai caduti. Fu a quel tempo che vennero piantate le quattro palme che ancora oggi circondano la statua di San Ciro. Promotore fu un compaesano attivamente impegnato nella Congregazione  di SanCiro: Giuseppe Sclafani (Pippinu Canzuneri); egli, con l’aiuto di tanti altri confrati e cittadini, portò le palme da Palermo e le impiantò esattamente dove si trovano ora. Era il 1905.

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