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Castellammare - Doriforo di Stabia, nessuna restituzione. Bloccati i prestiti italiani al Museo Americano

A seguito della richiesta lo scorso autunno erano stati avviate delle trattative tra le autorità italiane e il Minneapolis Institute of Art, senza tuttavia esito.

tempo di lettura: 5 min
di Valeria Cimmino
15/02/2024 21:04:10

Una vicenda, questa del Doriforo di Stabia iniziata negli anni '70 e diventata di recente un vero e proprio caso giuridico, culturale, mediatico italiano. Nel corso degli ultimi anni, oltre ad aver “appassionato” le istituzioni e l'opinione pubblica, pareva essere sul punto di trovare una degna conclusione, o per meglio dire collocazione, tanto da iniziare i lavori, per adibire uno spazio  all'interno del Museo Libero D'Orsi di Castellammare di Stabia, in cui l'antica statua di Policleto, rinvenuta agli inizi degli anni settanta a Varano (e poi trafugata) sarebbe dovuta essere permanentemente esposta, ritornando finalmente “a casa”. Invece ad arrivare è stato il diniego del Museo statunitense. Nel 2022 la procura della Repubblica di Torre Annunziata, guidata da Nunzio Fragliasso aveva presentato alle autorità americane la richiesta di assistenza giudiziaria  internazionale per l'esecuzione del decreto di confisca, emesso dal Giudice, il 18 febbraio, per le indagini preliminari del Tribunale, su richiesta della stessa procura.

A seguito della richiesta lo scorso autunno erano stati avviate delle trattative tra le autorità italiane e il Minneapolis Institute of Art, senza tuttavia esito.
Da qui la decisione appena presa dal governo Meloni, tramite il Ministero della Cultura, guidato da Giuliano Sangiuliano, e il Direttore Generale dei musei italiani, Massimo Osanna, di comunicare alle autorità statunitensi l'interruzione di ogni tipo di collaborazione con il Minneapolis Institute
of Art, inclusi i prestiti di opere italiane, una dura decisione legittima intrapresa dal governo, dopo l'ennesimo rifiuto, anche in via diplomatica, a consegnare la statua all'Italia da parte dei vertici del Museo.

Storia del Doriforo

Il Doriforo è una statua imponente, gemella di quella rinvenuta a Pompei, la celebre statua di Policleto, presso la Palestra Sannitica alla metà del ‘700, alta 196 cm e realizzata in marmo pentelico, scoperta nel marzo del 1976 a Castellammare di Stabia da alcuni operai che scavavano le fondamenta di un edificio. Il ritrovamento, come riportarono i giornali dell’epoca, non fu consegnato all’allora Soprintendenza Archeologica della Campania, ma finì nelle mani di un antiquario romano, punto di riferimento del mercato clandestino di opere d’arte. Da qui nacque una vera e propria odissea che portò la scultura, a metà degli anni ’80, ad essere acquistata dal Museo di Monaco di Baviera, che annullò il contratto in seconda battuta, non appena circolò la notizia, diffusa tra l’altro da diversi quotidiani italiani, che il reperto risultava trafugato dall’Italia. Da quel momento non si ebbero più notizie della statua, fino a circa una decina di anni dopo, quando fu rinvenuta nella collezione del Minnesota Museum, negli Stati Uniti. Singolare è la circostanza che il pezzo, all’epoca, non presentasse più l’etichetta “proveniente da Stabiae” che riportava in precedenza, ma l’indicazione generica “rinvenuto a largo delle acque internazionali del Mediterraneo”. Diverse sono state le ipotesi riguardanti il collocamento iniziale della statua a Stabiae.

L'odissea del Doriforo di Stabiae è stata studiata per più di un decennio dall'archeologo stabiese di fama internazionale, il Prof. Umberto Pappalardo. «L’argomento di cui tratterò – racconta il professore durante una conferenza del novembre 2019 - pur non costituendo una vera novità, serve a richiamare alla memoria qualcosa di molto importante per la conoscenza dell’antica Stabiae, fugacemente affiorato nelle cronache giornalistiche degli anni Ottanta. Correva appunto il 1980 quando l’Antikenmuseum di Monaco di Baviera esibì nella sua collezione una copia romana del Doriforo, la famosa statua di Policleto scolpita intorno al 440 a.C. Questa copia, alta 196 centimetri, in marmo pentelico, lo stesso utilizzato per costruire il Partenone, veniva orgogliosamente esibita come la migliore replica a noi nota del celebre capolavoro dell’artista di Argo, più bella ancora della copia di “doryphoros” proveniente dalla Palestra di Pompei esposta al Museo Nazionale di Napoli. La statua messa in mostra dall’Antikenmuseum non era ancora in possesso di questo museo, ma lo sarebbe stata grazie a una sottoscrizione pubblica di sei milioni di marchi, pari a circa tre miliardi di lire dell’epoca. Fin qui tutto ammirevole, ma niente di eccezionale, se non fosse per la didascalia che diceva espressamente: “Doryphoros aus Stabiae“, ‘Doriforo da Stabia’. Un articolo de “Il Resto del Carlino”, altri della “Frankfurter Allgmeine Zeitung” e infine uno de “Il Messaggero”, ne scoraggiarono l’acquisto: la statua fu restituita al mercante e scomparve nel nulla, come se si fosse inabissata. Cosa affermavano di così deterrente quegli articoli? Che la statua era stata rinvenuta …”nel marzo del 1976 a Castellammare di Stabia da alcuni operai che stavano scavando le fondamenta di un edificio…” e che “…il prezioso reperto, invece di essere consegnato alla Soprintendenza archeologica della Campania, finì nelle mani di un noto antiquario romano, da anni punto di riferimento del traffico archeologico clandestino quindi, secondo una prassi consolidata, spedito in Svizzera […]”.

Intorno al 1986 la statua riapparve negli Usa a Minneapolis, presso il Minnesota Museum of Art, ma questa volta la didascalia era cambiata: diceva che la statua era stata trovata agli inizi degli anni Trenta “in the sea off Italy”, ‘nei fondali marini oltre l’Italia’, come a dire in acque internazionali (quanto si pensava bastasse a cancellarne le impronte di provenienza illecita…).

Pappalardo ha parlato anche di altri casi analoghi e dei traffici neri di reperti ed opere d'arte, che avvengono molto frequentemente.»

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