Una colonna di fumo nero si alza sotto il ponte San Marco, alla periferia di Castellammare di Stabia. Brucia una discarica abusiva, a pochi metri dal viadotto autostradale. L’odore acre viaggia con il vento, le linee di case chiudono le finestre, i telefoni delle centrali operative squillano senza sosta. Sul posto corrono i vigili del fuoco per circoscrivere l’area e mettere in sicurezza la viabilità. La domanda, però, è più veloce delle sirene: com’è possibile che quella discarica fosse ancora lì, dopo anni di segnalazioni?
L’incendio di ieri non è un episodio isolato: è la tessera più recente di un mosaico di roghi che ha marchiato l’estate. A Moregine, nella periferia di Pompei, a inizio agosto, le fiamme hanno divorato un deposito di auto sotto sequestro; a metà mese, sempre a Pompei, in via Spinelli, è bruciato un capannone di abiti usati; e intanto il Vesuvio ha mostrato ancora una volta la vulnerabilità dei suoi versanti, con immagini devastanti che hanno fatto il giro dei social. Tre quadri, un’unica scena: periferie fragili, aree di margine trasformate in ricettacoli di scarti, vegetazione secca che diventa miccia.
Nel raggio di pochi chilometri convivono micro-discariche croniche, capannoni dai profili opachi, depositi temporanei che diventano permanenti, controlli a macchia di leopardo. Quando il caldo spinge verso l’autocombustione o quando la mano criminale cerca scorciatoie nello smaltimento, basta poco perché l’emergenza salti dalle chat di quartiere ai bollettini dell’aria.
C’è poi la salute pubblica. Se i rifiuti in fiamme sono misti - plastiche, gomme, tessuti, vernici - la nube può contenere composti nocivi. In questi casi servono rilievi ambientali rapidi, messaggi chiari ai residenti (finestre chiuse, limitare gli spostamenti, protezioni per i più fragili) e una catena di comando visibile: chi decide cosa, quando, con quali strumenti. È gestione dell’emergenza, ma anche fiducia nelle istituzioni.
L’altra metà del problema è la prevenzione. Bonificare senza presidiare significa rincorrere l’ultimo rogo.
La cronaca, intanto, corre: oggi tocca a Castellammare, ieri è toccato a Pompei, domani chissà. È legittimo aspettarsi che, dopo lo spegnimento, arrivino bonifica, recinzione dei varchi, controlli ripetuti e un rapporto pubblico sugli esiti dei rilievi. Ma l’estate del 2025 lascia una lezione più generale: senza programmazione e coordinamento stabile, il territorio resta una polveriera a cielo aperto.
L’immagine della nube nera sotto il San Marco è destinata a restare. Per cambiare scena serve un metodo: prevenire dove oggi si spegne, mettere a sistema quello che ogni estate scopriamo di nuovo, chiudere il cerchio tra chi produce rifiuti, chi li deve smaltire e chi controlla. Perché, al di là del fumo, questa non è solo una notizia di cronaca. È il termometro di come teniamo - o non teniamo - la casa comune.
«Sicuramente in prospettiva dovremo migliorare nell'ultimo passaggio e nell'attaccare la porta. Giorgini e Gabrielloni rinforzi importanti, alla società ho chiesto 2 centrocampisti e altrettanti attaccanti»