Cronaca
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Castellammare - Condannato a morte dal clan, salvo grazie all'arresto del boss

Dfiniti i ruoli e l'obiettivo del commando. Ma l'ordine non partì poichè i mandanti furono arrestati.

tempo di lettura: 2 min
16/11/2025 11:21:17

A Castellammare di Stabia c’è un uomo che cammina con una condanna a morte addosso. Un bersaglio il cui nome resta ancora sconosciuto alle forze dell’ordine, ma che – secondo gli investigatori – sarebbe stato individuato dal boss Vincenzo D’Alessandro, arrestato il 29 maggio 2024, proprio a ridosso dell’esecuzione.

La vicenda - raccontata oggi sul quotidiano Metropolis - emerge dall’ultima maxi-inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che martedì ha portato in carcere undici persone legate al clan D’Alessandro. Tra questi anche Michele Abbruzzese, 67 anni, detto “’o Paciariell”, ritenuto uno dei cassieri dell’organizzazione.

Proprio grazie a una serie di intercettazioni ambientali e telefoniche, gli inquirenti hanno ricostruito il progetto di un omicidio «pronto a scattare» ma mai portato a termine. La prima conversazione significativa risale al 28 marzo 2024: Abbruzzese confida a un familiare che gli sarebbe stato chiesto di «sporcarsi le mani». Un incarico che lo preoccupa, sia per l’età sia per le implicazioni interne al clan: «Non potevo tirarmi indietro, sarebbe stato un punteggio in meno rispetto agli altri», dice intercettato.

Secondo le indagini, Abbruzzese aveva incontrato di persona Vincenzo D’Alessandro nei giorni in cui il boss – pur essendo sottoposto all’obbligo di soggiorno a Nuoro – otteneva permessi per partecipare a un processo e ne approfittava per tornare a Castellammare e impartire ordini ai propri uomini.

Il giorno successivo, 29 marzo, un’altra intercettazione dà nuovi elementi. Abbruzzese parla con la moglie, Petronilla Schettino (anch’ella arrestata), e manifesta timori per le proprie condizioni fisiche. Poi rivela che con lui ci sarebbe dovuta essere un’altra persona «che queste cose non le ha mai fatte», aggiungendo che, secondo il boss, era arrivato il momento di fare «un po’ di pulizia».

L’ultima conversazione utile agli inquirenti è del 22 maggio. Abbruzzese riferisce che Paolo Carolei – altro elemento di spicco del clan e indagato nella stessa inchiesta – avrebbe recapitato le istruzioni finali. Tutto era pronto: i due esecutori individuati, lo scooter modificato per l’agguato, la catena di comando definita. Abbruzzese confida alla moglie che, quando Carolei lo avrebbe chiamato, lui avrebbe dichiarato disponibilità soltanto come “specchiettista”, ovvero come figura di supporto.

Il 29 maggio i carabinieri arrestano sia Carolei sia Vincenzo D’Alessandro, accusati di essere i mandanti di quattro omicidi risalenti al 2009. Carolei è stato condannato all’ergastolo, mentre D’Alessandro è ancora sotto processo.

In quegli anni, spiegano gli inquirenti, il clan stava attuando un vasto «repulisti» interno, punendo chi – a loro giudizio – aveva offuscato il nome della cosca. Una lista già lunga, alla quale sarebbe stato aggiunto anche l’uomo tuttora condannato a morte e mai identificato.

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