Castellammare di Stabia torna al centro del dibattito politico dopo il post pubblico con cui Nino Di Maio spiega le ragioni delle sue dimissioni da consigliere comunale. Una scelta che, come lo stesso Di Maio sottolinea, non nasce da obblighi giudiziari né da contestazioni formali, ma da una decisione personale, maturata in un clima che egli definisce avvelenato da sospetti, illazioni e processi sommari.
«Mi sono dimesso da Consigliere comunale di Castellammare di Stabia pur non essendo destinatario di alcuna indagine, di alcun avviso di garanzia, di alcuna contestazione. L’ho fatto non per necessità, ma per scelta, assumendomi una responsabilità che altri hanno preferito evitare. Negli atti non c’è il mio nome. Non c’è mai stato. Esiste soltanto una proroga di indagini, peraltro scaduta, riferita a miei familiari. E tanto è bastato».
Nel suo intervento, Di Maio denuncia quello che definisce un vero e proprio “processo politico”, costruito più sul sospetto che sui fatti, alimentato – a suo dire – da un clima da “caccia alle streghe” in cui la presunzione di innocenza viene sacrificata sull’altare dell’opportunità politica.
«È bastato per costruire un processo politico sommario, alimentato da sospetti, insinuazioni e da un clima da caccia alle streghe nel quale la presunzione di innocenza diventa un fastidio e il garantismo un lusso da esibire solo quando conviene. In questo contesto ha trovato terreno fertile l’illazione lanciata dal cosiddetto Osservatorio anticamorra, trasformata senza alcuna verifica in una verità politicamente spendibile».
Parole durissime anche nei confronti di chi, secondo l’ex consigliere, avrebbe usato la questione come arma selettiva, ignorando situazioni ben più gravi che riguarderebbero altri ambienti cittadini.
«E come non richiamare la storia di taluni sodali, la cui storia personale e familiare è stata ed è tutt’ora all’attenzione dell’autorità giudiziaria per fatti gravissimi».
Di Maio rivendica la scelta delle dimissioni come un atto di tutela verso la comunità politica di cui ha fatto parte, e in particolare verso la lista “Noi per Stabia”.
«Mi sono dimesso per evitare che un’intera comunità politica venisse trascinata nel fango. Non per difendere me stesso, ma per proteggere chi con me ha condiviso anni di impegno vero, alla luce del sole. Ho pagato un prezzo politico che non dovevo, per impedire che altri si nascondessero dietro comode semplificazioni».
Non manca un affondo diretto sul tema del consenso elettorale, definito “opaco” senza – secondo Di Maio – alcuna prova concreta.
«Io personalmente sono stato indicato quale intercettore di un consenso “opaco”, senza uno straccio di prova, senza un riscontro, senza rispetto. Una delegittimazione vile, costruita a tavolino, utile a riscrivere la realtà e a produrre un capro espiatorio spendibile nel dibattito pubblico trascinando anche la lista che da anni contribuisco ad animare “Noi per Stabia” in un tritacarne mediatico che non merita».
Poi una considerazione sul sindaco.
«Il Sindaco, invece di esercitare prudenza, equilibrio e senso delle istituzioni, ha scelto la scorciatoia: una sentenza politica immediata, l’espulsione dal perimetro della maggioranza, la convinzione di aver così lavato via ogni ombra.»
E qui Di Maio pone una serie di interrogativi che restano, a suo dire, senza risposta.
«È da chiedersi: ma le preferenze, “da me ottenute e che hanno consentito il raggiungimento del quorum alla lista, saranno utilizzate da questa maggioranza per sopravvivere? E le preferenze raccolte da altri candidati nelle zone più calde, vedi anche il neo consigliere subentrante, saranno accettate nel perimetro della maggioranza?».
Per l’ex consigliere, tutto questo dimostrerebbe un principio inquietante: un garantismo applicato solo quando non comporta costi politici.
«Se i voti che ho raccolto sarebbero espressione di zone d’ombra, perché oggi quegli stessi voti, incassati altri, sono diventati improvvisamente accettabili? Le ombre spariscono con le dimissioni di un consigliere o si dissolvono per mera convenienza?».
Il post si chiude con una riflessione sul modo in cui il tema della legalità sarebbe utilizzato nel dibattito pubblico stabiese.
«Forse la risposta è più banale: la coerenza è sacrificabile, quando intralcia la sopravvivenza politica. […] Se davvero si vuole parlare di legalità, allora la si pratichi senza doppi standard. Si guardino tutti i fatti, non solo quelli utili. Si osservino anche i silenzi, le ambiguità, le connivenze mai nominate che da anni attraversano questa città e che troppi fingono di non vedere. Questo non è lo sfogo di chi è stato escluso. È una denuncia politica contro l’uso ipocrita della parola “legalità”, degradata da valore costituzionale a strumento di lotta interna».
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