In occasione della seconda puntata di Passione Azzurra, nuovo format televisivo di StabiaChannel, è intervenuto Luca Altomare, ex bandiera azzurra e compagno di squadra del “Pibe de oro” Diego Armando Maradona.
Luca, fa il suo esordito in serie A il 7 febbraio del 1993 in Napoli – Foggia 2-0 con la maglia numero 10. Resta in azzurro per 10 anni (dal 1989 al 1999) collezionando 109 presenze. Fu uno degli ultimi ad indossare la mitica maglia n.10 dei parthenopei, primo del ritiro della stessa ed era il campionato 92-93. Ha all'attivo quattro reti in Serie A, tutti realizzati con la maglia del Napoli. Nel 2008 dice addio alla carriera da calciatore.
Di seguito, riportiamo l’intervista integrale.
Il ricordo più bello con Maradona
“E' stato un onore conoscerlo. Adesso che non c’è più mi rendo ancor più conto di quanto è stato bello e piacevole aver incontrato sulla mia strada il campione dei campioni. Sono orgoglioso di averlo avuto come compagno di squadra. Ero ragazzo quando sono arrivata a Napoli, era l’89 nel periodo migliore, forse del Napoli di Maradona, di tutte le soddisfazioni che il Napoli ha saputo dalle al popolo napoletano. Mi ritengono fortunato ad aver vissuto Napoli in un momento davvero fantastico, dove c’erano fiori di campioni, persone per bene che riuscivano a dispensare consigli per noi ragazzi, quindi un gruppo davvero fantastico. Di Diego, avrei molti aneddoti da raccontare , ricordo la grande disponibilità che aveva per tutti quanti, era un leader dentro e fuori dal campo e soprattutto era un ragazzo che dimostrava questa sua forza proprio nelle piccole cose, gli accorgimenti che dava a noi ragazzi erano piccole cose ma proprio in queste piccole cose dimostrava la sua grandezza. Diego era grande, non solo perché sapeva dare del “tu” al pallone ma perché aveva una sensibilità fuori dal normale, dava ed era attento sempre a tutte le cose, dove trovava le difficoltà della persona, dell’addetto al lavoro, del magazziniere, si faceva in quattro per risolvere il problema che aveva captato. La grandezza di Diego, viene prima da questa grande umanità che aveva senza dimenticare anche le sue grandi capacità calcistiche, riconosciute da tutto il mondo."
Il ricordo con la 10
“Ho avuto il piacere di indossare la maglia numero 10 che in quel periodo aveva un peso maggiore, perché è il numero di Diego e pesava, pesava tanto. Quell’anno Bianchi decise di farla indossare ad un ragazzo che aveva un peso minore quella volta, mi sembra contro l’Ancora la diede a me e la feci sudare quella maglia, non la feci rimpiangere. E’ stato un onore indossarla ed andava difesa a tutti i costi sotto il profilo dell’impegno e dell’attaccamento.”
Maradona è un campione amato da tutte le generazioni. Durante gli allenamenti avvertivate il carisma di un personaggio simile che sapeva trascinare, e creare quell’identità tra squadra e popolo napoletano?
“Diego aveva una personalità fuori dal normale, era un leader, aveva questa capacità di essere importante ma non di approfittarsi di quest’importanza che aveva. Riusciva ad interagire con tutti i compagni in un modo facile, semplice, però nello stesso momento usciva fuori il leader. Se sentiva che le cose erano ingiuste, ad es. un giorno mi ricordo a Soccavo prima dell’allenamento si scagliò contro un giornalista solo perché aveva fatto un articolo qualche giorno prima su qualcosa di non giusto secondo Diego, che attaccava i compagni e non lui. Lui andando dal giornalista gli disse che se aveva bisogno di dire qualcosa, doveva dirlo a lui lasciando stare la squadra. Questo è Diego. Si metteva sempre davanti e cercava sempre di marginare le pressioni addossandosele, lasciando tranquilla la squadra. Il leader, a mio avviso, è proprio questo: cercare di spianare la strada dietro, ai propri compagni. La forza di Diego e le promesse che fatto quando è arrivato a Napoli; che avrebbe cercato di dare tutto se stesso, portando gioia e felicità al popolo napoletano…ci è riuscito alla grande. Ed è il tributo che il popolo di Napoli e non solo, tutto il mondo cercherà di restituire a Diego."
I ricordi di Soccavo e del centro Paradiso
“Per me Soccavo, rimarrà per sempre la mia casa. Sono andavo via di casa all’età di 16 anni da Cosenza, dove sono nato e mi sono trasferito a Napoli. Il primo posto che ho visto, dove mi hanno lasciato i miei genitori, era appunto Soccavo, quindi dal primo momento è stata la mia casa e lo è stata per anni. Ho tanti ricordi che potrei scrivere un libro. Ricordi fantastici. Noi ragazzi della Primavera partecipavano anche agli allenamenti della prima squadra, ai ritiri, alle convocazioni. Era bello quando giocavamo e tutta la prima squadra si metteva sulla prima palazzina di Soccavo per vedere la nostra partita. Era uno stimolo grandissimo che solo quei campioni riuscivano a darci, un incentivo maggiore perché sapevamo che facevano il tifo per noi. Soccavo è un posto dove è passata tutta la storia del Napoli e vederlo in quelle condizioni porta molta ma molta tristezza. Spero che possa tornare a vivere, perché quel posto ha una storia incredibile. Si respirava appena solcavi quel cancello, davvero un’aria familiare. Era una casa per tutti quelli che come me hanno avuto la fortuna di viverci e godere di tutte le persone che c’erano, dalla chef Maresca, ai camerieri, agli addetti ai lavori, alla segreteria che tutt’ora ho modo di sentire tramite un gruppo di ex fortunati di aver vissuto quegli anni: era un famiglia a tutti gli effetti. Mi auguro che possa tornare a vivere al più presto”.
Si è sempre detto che quello che si vedeva in allenamento era tutt’altra storia rispetto a quello che si vedeva in campo. Ricordi qualche magia in particolare di Diego?
“Lui aveva quest’attrazione per il pallone, senza pallone non riusciva ad allenarsi. Aveva la voglia di fare le corse e le faceva con il pallone, faceva le navette e le faceva con il pallone. In qualsiasi cosa che faceva doveva esserci il pallone, aveva bisogno di sentire di pallone. Secondo lui era l’attrezzo più importante per far si che si potesse andare oltre. Di magie ne faceva tante. Ricordo un giovedì, durante una partita di allenamento tra la primavera e prima squadra, lui sul cerchio del centro campo pronto a battere il calcio d’inizio. Prima di fare ciò, si rivolse a Careca dicendo di passargli la palla più avanti, in modo tale da fare gol a Giovanni Galli, da quella distanza e così è stato. Lui ha spostato la palla e gli ha fato gol, aveva visto che stava già fuori dai pali. Questa è una magia, una delle tante ovviamente. Era un spettacolo. Era come andare al teatro, gratuitamente per noi. Un piacere vederlo allenare e fortuna ancora più grande averci giocato insieme.”
Molte persone sono entrate nello specifico sull'aspetto non calcistico. Hanno sottolineato le debolezze di Maradona uomo. Come hai vissuto queste cose, hai provato dolore?
“Chi si permette di infangare attraverso quel che è stato il vissuto di Diego è poco intelligente, per non usare altri vocaboli. Diego era un fuoriclasse, era uno spirito libero, aveva tanti eccessi come tutti. Leggevo, tra i titoli “genio e sregolatezza” e non vi è descrizione migliore di lui, tutto quel di buono ha fatto è stato condito da sbagli. Lui se ne rendeva conto, non è che le nascondeva. Lui era così e lo ammetteva. Era la sua vita ed ha cercato di fare tutto quello che in quel momento la sua testa gli diceva. Non si dovrebbe permettere nessuno di giudicare quel che ha fatto, anzi, si dovrebbe esaltare tutto quel che ha fatto perché ha reso tante persone felici, di averlo visto giocare, di averlo avuto come compagno. Diego ha fatto tanto di quel bene alle persone che si dovrebbe parlare solo di quello. Ci vuole rispetto per un campione”.
Il tecnico delle vespe si congratula con la squadra di Conte e commenta la vigilia della semifinale play-off di ritorno. «A Cremona partita difficile, dobbiamo fare 98 minuti con il casco in testa, senza abbassare i ritmi. Fortini? Non condivido il suo post sui social»