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Napoli - Il cinismo che serviva per diventare grande

Salerno sbancata e un’andata da sogno.

tempo di lettura: 6 min
di Antonio Ingenito
22/01/2023 10:00:05

La 19esima giornata di serie A, che ha visto il Napoli imporsi per 2-0 all’Arechi contro la Salernitana, sigla la fine del girone d’andata del massimo campionato italiano, stagione 2022/2023. Tempo di bilanci, insomma, anche se parziali, s’intende. Proprio perché aspettano il Napoli altre 19 fatiche lungo tutto lo stivale, che decreteranno se gli azzurri saranno all’altezza, o meno, dello straordinario percorso svolto finora. Un tragitto che parla, innanzitutto, di 50 punti conquistati al giro di boa ( di per sé già record per il club azzurro) con la bellezza di 16 vittorie, 2 pareggi e una sola sconfitta, di misura, a San Siro contro l’Inter. Analizzando ancor più a fondo numeri e statistiche, il Napoli si scopre, a metà campionato, di gran lunga il miglior attacco del torneo ( 46 sono le reti realizzate finora) nonché la seconda miglior difesa ( appena 14 quelle subite). Volendo poi considerare l’intera stagione svolta, fino a questo punto, solo un’altra era stata la sconfitta sul campo alla fine degli effettivi di gioco: quel 2-0 patito ad Anfield Road contro il Liverpool e materializzatosi solo negli ultimi minuti del match, col Napoli ormai già sicuro di primato nel girone e qualificazione agli ottavi di Champion’s. L’eliminazione dalla Coppa Italia contro la Cremonese, infatti, giungeva solo ai calci di rigore, dopo il pareggio al termine dei tempi supplementari. Numeri da far tremar le vene ai polsi e che a Napoli non s’erano visti neanche nell’epoca d’oro dell’epopea Maradoniana. Numeri che comunque, è sempre bene ricordarlo, al momento non sono garanzia di alcuna vittoria o trofeo. Ma che contano e iniziano ad avere un peso specifico, a mano a mano che le settimane avanzano.

Non possono certamente, questi dati, essere frutto di casualità e questa constatazione banale, per quanto non sia comunque certezza di nessun risultato, quantomeno ci restituisce un fatto certo: il Napoli è realtà consolidata, in Italia e fuori nonché altamente competitiva con tutte le big del territorio nazionale e non. Hai detto niente.

Quello che a Luciano Spalletti sta riuscendo, nella sua parentesi partenopea, è un’opera d’arte che gli va riconosciuta al di là di come finirà questa stagione: ha reso il Napoli dipendente solo ed esclusivamente dalla propria consapevolezza, lo ha plasmato in una squadra convinta pur senza essere presuntuosa, feroce senza imbrut(t)irsi, vanitosa senza specchiarsi oltre il necessario e forte della propria bellezza.

Una bellezza assai lontana, per intenderci, dalla visione filosofica di Maurizio Sarri, ma per questo assai più furba e pragmatica: questo Napoli non è schiavo del proprio fascino, ma ne attinge a suo uso e consumo. Lo sfrutta quando gli serve e sa metterlo da parte quando è di troppo. Questo perché a Spalletti sta forse riuscendo di raddrizzare uno dei pochi “nei” del meraviglioso Napoli Sarriano: saper cambiare pelle e capire quando è il momento di farlo.

Sarebbe impensabile vincere ogni partita con la presunzione di stritolare gli altri sempre e comunque. O meglio, questo è il diktat che anche il Napoli di Spalletti si pone, ma accetta di modificare l’approccio in corso d’opera, se s’accorge che non gli riesce. Il pensiero resta immutato, le modalità di esecuzione si adattano al contesto.

Salerno ne è stata l’ennesima fotografia. Il Napoli parte padrone del campo sin dal primo minuto e lo sarà per tutta la partita. La Salernitana si difende nel modo più ancestrale: muraglia cinese eretta avanti ad Ochoa, tanta densità e nessuna voglia di proporre nulla che sia simile al concetto di “proposta”.

Spalletti risponde con la contromossa: aggirare l’avversario, stordirlo, “farlo uscire pazzo”. La palla ce l’hanno sempre gli azzurri e anche se il giro-palla non sempre riesce ad essere fluido e ritmato ( un possesso palla dominante, se non ha velocità, rischia di risultare inefficace), il risultato è che i minuti fanno perdere certezze e coraggio all’avversario che comunque, se la palla ce l’hai sempre tu, è costretto a correre senza sosta per il campo, sprecando energie fisiche e nervose insieme.

Il segreto è uno, semplice e letale: avere pazienza. Deve averne tanta, Luciano Spalletti. Uno che a quasi 64 anni, e con un’esperienza ultraventennale ai massimi livelli, uno Scudetto non l’ha ancora mai vinto, non almeno in Italia. E che pure ha abbracciato la causa di chi da un po' di anni canta “abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione”, con l’entusiasmo di un adolescente.

E’ come se questo concetto di pazienza, impersonificato da un sessantaquattrenne che ancora rincorre la sua “prima volta”, sia stato trasferito perfettamente alla Squadra. La fretta e la fragilità dei nervi sono sempre cattive consigliere, restare concentrati può essere l’arma in più. Soprattutto in una piazza umorale come Napoli.

E poi c’è la furbizia, la scaltrezza o, se preferite ancora, la cazzimma. Spalletti, forse ancora più di quanto non riuscì Sarri, è riuscito ad unire il cordone tra tifoseria e calciatori, come non si vedeva da tempo immemore. Io non lo so se il buon Luciano pensi davvero tutte le cose che dice, so solo che se non le pensa è un meraviglioso attore, perché le fa sembrare così veritiere che la gente ormai ci crede. E si sta compattando, in unico corpo insieme ai propri beniamini.

Il rapporto con la tifoseria non è più un mostro da abbattere o un cocktail da sorseggiare con cura: è un vanto da ostentare, un vessillo per cui combattere. Io non lo so se Spalletti ci creda davvero a tutte le cose che dice. So solo che i suoi ragazzi hanno seriamente cominciato a farlo. Perché 50 punti dopo 19 partite sono e rimangono garanzia di un bel nulla, ma non si fanno per magia, non in modo così autoritario.

Come questo 2-0 di Salerno. Il Napoli osserva, gira, rigira. Un tocco, due, poi ricomincia. Da Kim, Rrahmani, ai terzini. La toccano tutti. Poi s’apre un mezzo varco e la bellezza diventa, ancora, lo strumento di cui servirsi per fare un’impresa: uno-due, coi tempi perfetti, palla imbucata, cross rasoterra, irrompe Di Lorenzo. Un controllo, un passo, una bomba e la rete che si gonfia.

Stesso copione al terzo della ripresa: uno scambio che libera una conclusione dal limite, il palo la risputa, Osihmen chiude pratica e partita.

Parte di essere maturi è diventare cinici, che nell’etimologia greca, come splendidamente riporta la Treccani, significa “esclusione di ogni desiderio che comprometta l’autonomia della spirito”.

Perché la bellezza non diventi un fine, ma un mezzo. Questa è la rivoluzione di Spalletti: la voglia di lasciare un segno nella storia. Tutte le altre componenti, servono solo se possono essere utili a questa causa.

Per una grande impresa, è forse necessario anche un grande cinismo. E’ quello che mancava al Napoli  e che lo condannato spesso anni addietro, molto oltre ciò che è parso giusto. I tifosi si augurano che la squadra l’abbia  trovata e di non smarrirla mai più. Non almeno fino al prossimo 5 Giugno.

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