Un vorticoso giro di denaro, una serie di agenzie di scommesse che operavano al di fuori di ogni controllo, un gruppo di personaggi a dir poco spregiudicati e una bolletta sospetta. Sono i contorni di un’indagine avviata tre anni fa dalla Procura della Repubblica di Napoli e affidata alla guardia di finanza, i cui risultati hanno portato - la notte scorsa - all’esecuzione di cinque ordinanze cautelari emessi dal giudice per le indagini preliminari Vincenzo Caputo. È proprio partendo da una bolletta priva dei codici seriali numerici del Coni, che sono cominciati i sospetti. Cinque persone sono finite agli arresti domiciliari, con le accuse di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro l’Erario, di bancarotta, falso in bilancio, truffa e corruzione: tra loro c’è anche una donna, Rosa Di Leva, 51 anni, di Civitavecchia ex funzionario dei Monopoli di Stato. Ai domiciliari sono finiti anche Tommaso Bernetti, 39 anni, di Cisterna di Latina; Salvatore Biondi, 63, di Somma Vesuviana; Simone Lettieri, 38, di Castellammare, e Giovanni Napolitano, 43 anni di Nola. I provvedimenti sono stati emessi su richiesta del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Francesco Curcio. I finanzieri del comando provinciale diretto dal generale Giovanni Mainolfi sono entrati in azione all’alba per notificare le misure cautelari. Indagine complessa e delicata, quella condotta dai militari del Primo gruppo, guidato dal colonnello Ciro Natale. L’indagine ha consentito di svelare un intreccio di interessi, facendo emergere l’esistenza di un’associazione a delinquere che - secondo l’accusa - avrebbe determinato un danno all’Erario quantificato tra i 20 e i 30 milioni di euro. Attraverso il controllo di numerose agenzie di raccolta scommesse su eventi sportivi nazionali ed esteri (collegate al totalizzatore nazionale) riconducibili a società presenti su tutto il territorio nazionale ma con sedi centrali a Napoli, Salvatore Biondi e Tommaso Bernetti avrebbero omesso di versare al Coni ed ai Monopoli le dovute imposte che vengono riscosse dall’agenzia su ciascuna giocata. Somme per decine di milioni di euro che, sostiene la Procura, venivano direttamente incamerate, senza farle figurare in contabilità, attraverso prelievi in contanti o bonifici bancari su conti correnti personali. La Di Leva avrebbe chiuso un occhio nei controlli che le erano dovuti d’ufficio, ottenendo in cambio gioielli, beni alimentari e perfino una vacanza in un lussuoso hotel di Furore, sulla Costiera amalfitana. Le società - Playbet, Jobet e Step - sarebbero state poi deliberatamente condotte al fallimento quando le somme vennero richieste dai creditori. Inchiesta ad ampio raggio, quella condotta dal pm Curcio. Ventuno, complessivamente gli indagati. E, sullo sfondo, il sospetto più inquietante della criminalità organizzata che avrebbe in qualche modo beneficiato degli introiti milionari. In una nota, il procuratore della Repubblica Giovandomenico Lepore evidenzia che «il gip non ha ritenuto sussistente l’aggravante del collegamento degli indagati con i clan camorristici Russo e D'Alessandro». E che, per questo, ha già presentato ricorso d’appello.
Il presidente in occasione della festa gialloblù: «La Brera Holdings? Abbiamo solo rimandato. Adorante? Non lo manderei mai via, è fondamentale in questo campionato.»
