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Castellammare - La città sotto sorveglianza del clan: l'inquietante mappa delle 'spie' svelata dalle ultime inchieste della DDA

Una fitta rete di insospettabili che garativa al clan informazioni su quanto accadeva in città.

tempo di lettura: 3 min
14/11/2025 09:52:41

Spie del clan D'ALessandro ovunque in città, persino nei reparti dell’ospedale San Leonardo. E' quanto emerge dalle ultime inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia che hanno restituito un’immagine inquietante della città stabiese: una rete capillare di informatori e “sentinelle” al servizio del clan, attivo da quasi mezzo secolo nell’area di Scanzano e considerato uno dei gruppi camorristici più radicati del territorio.

Secondo gli investigatori, la cosca avrebbe potuto contare per anni su un vero e proprio esercito di insospettabili che avrebbero garantito al clan un flusso costante di informazioni su tutto ciò che accadeva in città che avrebbe permesso ai vertici del gruppo criminale di monitorare ogni dinamica sociale, economica e persino politica di Castellammare.

Summit nei bar del centro e contatti con i sindacalisti
Dalle carte delle inchieste emerge come figure di rilievo del clan – tra cui Pasquale D’Alessandro, Vincenzo D’Alessandro e Paolo Carolei – si riunissero abitualmente in bar, ristoranti e negozi del centro cittadino, sedi informali di summit dove venivano pianificate strategie e affari. Diverse attività commerciali, insieme ai loro gestori, compaiono nelle informative come luoghi cruciali di incontro.

Non solo: alcuni sindacalisti di realtà produttive chiave, sarebbero stati convocati dai vertici della cosca per fornire informazioni utili all’avanzamento di interessi del clan, sia leciti che illeciti.
Il risultato è un’immagine di una città profondamente contaminata, dove chiunque, direttamente o indirettamente, può trovarsi a contatto con la rete di potere della criminalità organizzata.

Il caso San Leonardo: l’ospedale trasformato in “bancomat” del clan
Uno dei capitoli più allarmanti dell’inchiesta riguarda l’ospedale San Leonardo. Il settore della sanità, apparentemente distante dalle logiche criminali, sarebbe invece diventato terreno fertile per infiltrazioni e interessi economici.
Al centro dell’indagine spicca il caso di una azienda che gestiva in modo quasi monopolistico le ambulanze il cui titolare, insieme al ras Antonio Rossetti – oggi detenuto in regime di 41 bis – avrebbero potuto contare su una rete di contatti diretti all’interno dell’ospedale: medici, infermieri, operatori socio-sanitari, guardie giurate e persino sindacalisti.

Il collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano ha dichiarato che “in ogni reparto dell’ospedale Rossetti aveva un suo riferimento” e che, in caso di contrasti interni, nessuno avrebbe mai chiamato le forze dell’ordine: per risolvere le dispute “ci si consultava direttamente con Antonio Rossetti”.

Una fotografia che lascia sgomenti: se confermata, mostrerebbe un livello di infiltrazione tale da mettere a rischio persino il diritto alla salute, sottoponendolo al controllo di un’organizzazione criminale che ha costruito il proprio potere sulla violenza.

Una città da ricostruire
Le indagini della DDA non solo hanno decapitato il vertice del clan, ma hanno soprattutto svelato la portata della sua presenza silenziosa nella quotidianità di Castellammare. Resta ora la sfida più difficile: ricucire il tessuto sociale di una città in cui, per troppo tempo, la criminalità ha potuto mimetizzarsi tra la gente comune, insinuarsi nelle istituzioni e trasformarsi in potere riconosciuto.
Un lavoro che richiede non solo repressione, ma soprattutto un risveglio collettivo: perché nessuna indagine potrà restituire alla comunità la libertà di cui il clan l’ha privata, se prima non si spezza la catena dell’omertà che per decenni ne ha alimentato la forza.

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