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I Guardiani del tempo: Hai penna e calamaio?

A questo interrogativo ormai non si risponde più.

tempo di lettura: 3 min
di Francesco Catalano in ESCLUSIVA per
15/12/2008 13.53.51

Hai penna e calamaio? A questo interrogativo ormai non si risponde più.
I primi anni delle mie elementari, negli anni 50, si usava ancora pennino e calamaio. Di pennini allora erano piene le cartolerie; di vari tipi e forme ma per noi fanciulli c’erano quelli economici, scolastici, Così nella cartella nera di cartone ci tenevamo i libri (l’abbecedario) il quaderno di bella grafia che portavano a scuola il primo giorno e poi li lasciavamo là custoditi in un armadietto, e quello per fare le asticine diritte e i cerchietti; pagine intere per abituare la mano a formare la grafia adatta alle righe dei quaderni con la copertina rigorosamente nera.
Il calamaio lo si trovava in classe sul banco di legno nero, al centro, in un vasetto di vetro sempre pieno di inchiostro anch’esso nero che il bidello ogni giorno riempiva per farci scrivere. Nel calamaio si intingeva i pennino che raccoglieva quel poco inchiostro per scrivere tre o quattro parole e poi di nuovo intingere e scrivere. Come al solito qualcuno invece, si divertiva a inzuppare una pallina di carta assorbente nel calamaio per poi tirarla con le mollette al compagno antipatico.
A fine lezione si tornava a casa quasi sempre con le mani sporche d’inchiostro ( che faceva fatica ad andare via anche lavandole) e qualche pennino spuntato in più nella cartella.
Tutto questo per fortuna durò pochi anni fino a quando qualcuno inventò la “biro” che soppiantò in pochissimo tempo tutti i pennini e i calamai del mondo. Le stilografiche però ebbero maggior fortuna, ancora oggi una bella stilografica può essere anche molto costosa, e sicuramente, elegante.

Filastrocche…filastrocche
Dei nostri giochi di fanciullo c’è chi ricorda tutto e chi invece ha già dimenticato. Un passatempo da fare in casa dopo lo studio era questo: Si prendeva la mano del compagno (o compagna) di giochi e pizzicandole la pelle delle dita sulla parte superiore un dito alla volta e ripetendosi, si diceva

“ Hai penna e calamaio? Hai qualcuno che ti ama? Mi sai dir come si chiama? Se…( facendosi rivelare il nome della persona amata), questo dito scoppierà!

Dove si fermava la filastrocca su quel dito si facevano scrocchiare le giunture delle ossa. Se le ossa scrocchiavano la persona citata nella filastrocca ci amava, altrimenti si ricominciava con un altro nome.
Molto simile, era quest’altra…

“Pizzo pizzo santomartino/ il cavalletto e la regina/ la regina andò in campagna/ e si mangiò quatte castagne/ castagne e castagnelle/ che mò vene Luisella/ e te porta ‘e ccose bbelle/ ‘o chicco e ‘o cocco e ‘o pane c’’a ricotta/ a ricotta è salata e ‘o cappuccio è arricamato/ ricamato a mme/ ricamato a tte/ ‘a gallina zoppa zoppa quante penne porta in groppa/ se ne tene vindiquatto uno doie tre e quatto!

Si pizzicavano sul dorso le dita delle mani e dove si fermava la filastrocca la compagna di giochi doveva far schioccare le dita premendo sulle giunture delle ossa.
Un po’ più antica e purtroppo non bene identificata c’era questa voce, forse di un venditore ambulante di castagna lesse:

“…guagliu’ guagliu’ currite purtate e pignatelle vedite quante so bbelle tre solde ventitré…”

E a proposito di mercanti, c’è una barzelletta che mi raccontava mia nonna di due ambulanti che sulle loro bancarelle esponevano la propria mercanzia, invitando la gente a fermarsi per comparare. Il primo un vinaio:

“ Venite, venite signò teng’’o vino nuovo, e quant’’e buono!

Il secondo, con la bancarella di fronte, vendeva ombrelli, ma con un pizzico di sfottò gridava subito dopo: “paracqua! Signò paracqua!

Questa è veramente una barzelletta che ha almeno cento anni!

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