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Parkour - Da Vico Equense al titolo nazionale: Serafina Ferraro si laurea campionessa nella categoria freestyle

«Il trionfo è il coronamento di 10 anni di sacrifici. Il parkour aiuta a conscere capacità e limiti, per poi superarli gradualmente»

tempo di lettura: 8 min
di Giovanni Minieri
31/12/2020 17:13:52

Non è soltanto un semplice sport, bensì espressione di arte del movimento. Il parkour permette alle persone di spostarsi attraverso metodi non convenzionali, andando oltre i limiti fisici e mentali, in una sequenza di corsa, salti, volteggi e scavalcamenti dall’altissimo tasso di spettacolarità. Tale disciplina nasce in Francia ed arriva nel nostro paese con colpevole ritardo, grazie soprattutto al web che ha permesso la sua diffusione su larga scala facendo sempre più proseliti. Rimini, sede dei campionati assoluti di parkour, ha permesso alla Penisola Sorrentina di far brillare una nuova stella nel firmamento sportivo del Belpaese. Da Vico Equense con furore. Nelle vene della 22enne Serafina Ferraro scorrono da sempre agilità e potenza. Gli inizi con la ginnastica artistica, poi il parkour che pratica da 10 anni volgendo sempre lo sguardo ad altre discipline come pole dance e phoenix. Con la Ginnastica Campania 2000 ha sbaragliato tutta la concorrenza in ambito nazionale, conquistando il gradino più alto del podio nella specialità “freestyle” e la seconda piazza per ciò che concerne la “speed”. Un trionfo ottenuto con sudore e sacrificio.

Hai portato la Penisola Sorrentina e la tua Vico Equense sul tetto d’Italia agli assoluti con il successo nella categoria “freestyle”. Che gara è stata, e quando hai realizzato di poter tagliare un traguardo così prestigioso?

“Il successo è stato senza ombra di dubbio il coronamento di 10 anni di sacrifici, visto che ho iniziato ad allenarmi quando avevo appena 12 anni. Le gare di parkour rappresentano una novità, visto che questa disciplina è stata inglobata soltanto 2 anni fa dalla Federazione Ginnastica Italiana. Il parkour consiste in due distinte spacialità: c’è il freestyle, dove ho conquistato il gradino più alto del podio, che ti permette di gestire il percorso all’interno dello spazio. Più precisamente, sei tu a decidere gli elementi nel percorso, creando una personale performance attraverso la scelta degli elementi più sicuri o lo scavalcamento degli ostacoli che più ti piacciono. La seconda è lo speed, che come dice la parola stessa rappresenta una gara di velocità nella quale si passa da un punto A a un punto B superando tutta una serie di scavalcamenti. Quest’ultima è ovviamente più oggettiva. Inutile nascondere che la fase di preparazione, così come la gara stessa, sono state inevitabilmente segnate dalle necessarie restrizioni legate al covid che da un po’ di mesi a questa parte stanno segnando tutti gli sport. Non potevamo allenarci tutti insieme, ma siamo stati divisi in gruppi perché non potevamo essere simultaneamente sul campo gara. Al di là di tutto, è stata comunque una bellissima esperienza, e non posso che essere più che soddisfatta del risultato finale. Ho partecipato agli assoluti con la palestra di Fuorigrotta Campania 2000: mi hanno subito convinta perché si tratta di una disciplina che conosco e pratico da tempo, e sono stata ripagata dalle forti emozioni vissute in gara”.

A chi vuoi dedicare il tuo successo?

“Sono ovviamente contentissima per il prestigioso risultato raggiunto, anche perché è stato il frutto di tanti anni di allenamenti e sacrifici. Quest’anno allenarsi è stato complicatissimo per le problematiche che tutti conosciamo, soprattutto in una disciplina di strada come il parkour. Credo che anche nel 2021 si ripeterà l’appuntamento nazionale, e spero di arrivarci ancora meglio fisicamente confidando nella possibilità di potermi allenare con maggiore continuità”.

Qual è il momento più bello quando fai un esercizio?

“Provengo dalla ginnastica artistica, per cui ciò che preferisco nel parkour è sicuramente l’acrobatica. Ho portato in gara diversi esercizi che mi piacciono, ed alleno moltissimo questo aspetto”.

Che tipo di allenamenti sei solita svolgere?

“Mi alleno principalmente per strada, anche per il parkour nasce sostanzialmente come sport di strada. L’organizzazione non è stata semplicissima, visto che la Campania era zona rossa e di conseguenza le disposizioni vigenti impedivano le sessioni all’aperto. Ho lavorato duramente a Fuorigrotta in una palestra che disponeva anche di uno spazio esterno sul tetto, mentre per l’acrobatica mi spostavo nella zona indoor destinata alla ginnastica artistica. C’è stato davvero poco tempo per preparare la gara visto che per ben 2 settimane non ho potuto fare parkour, ed ho così cercato di recuperare tutto nei 7 giorni precedenti all’appuntamento nazionale. Ho lavorato con esercizi specifici sulla velocità, così come sul cercare di utilizzare gli spazi al meglio per creare una performance personale, basandomi su quelli che sarebbero poi stati gli elementi della gara”.

Com’è una tua settimana tipo di lavoro?

“In generale ci si allena in gruppo. A Napoli c’è un bel gruppo di atleti, e ci organizziamo di volta in volta per gli spostamenti in base al luogo scelto per allenarci, che in genere varia sempre”. 

Come definiresti il tuo sport. Nel senso, possono avvicinarsi tutti, o servono delle basi in una determinata disciplina sportiva?

“Ritengo che al parkour possano avvicinarsi praticamente tutti, senza alcun bisogno di formazione particolare. Ci sono tantissimi esempi di atleti che si sono imposti nel parkour senza avere alcuna base di acrobatica, o provenendo da discipline completamente diverse. È uno sport che va coltivato allenamento dopo allenamento, ma soprattutto togliendo l’etichetta di una disciplina riservata ad una ristretta elite di atleti. Come ogni attività basata sulla tecnica, va semplicemente svolta con passione e dedizione”. 

Il parkour offre l’opportunità di sfidare continuamente i propri limiti fisici e mentali: quanto questo può essere importante sia nella vita che nello sport?

“In realtà è proprio la filosofia del parkour a permettere la sua applicazione nella vita di tutti i giorni. Per esperienza personale, posso dire che questo sport insegna a conoscere le proprie capacità e i propri limiti, per poi superarli in maniera graduale. È fondamentale allenarsi con criterio, e sfatare così il fastidioso luogo comune secondo il quale chi pratica il parkour corre il rischio di farsi male più facilmente. Bisogna partire dalla percezione delle difficoltà e debolezze, e superarle attraverso il duro lavoro quotidiano. Il parkour è uno sport più complicato dal punto di vista mentale che fisico. Analizzando più concretamente quello stradale, vai a trovarti spesso all’aperto e sull’asfalto, per cui inizialmente puoi provare qualche fisiologico timore. Poi pian piano inizi a conoscere te stesso ed è tutto un crescendo di emozioni”. 

A livello fisico si tratta di uno sport molto intenso: ci sono dei muscoli che vanno allenati prima o meglio di altri?

“Il parkour è uno sport molto tecnico, per cui più che sotto il profilo strettamente fisico, si vanno ad allenare maggiormente i tempi di un determinato scavalcamento. Alla base c’è quindi un lavoro certosino per interiorizzare al meglio i vari elementi. Ovviamente non è una disciplina semplicissima dal punto di vista fisico, però al di là del classico potenziamento, siamo soliti concentrarci principalmente sugli elementi del parkour”.  

C’è un idolo sportivo a cui fai riferimento?

“Ho sicuramente dei modelli di atleti che si sono messi in mostra in ambito europeo: su tutti Hazal Nehir Silke Sollfrank e Lilou Ruel. Tuttavia, il parkour è bello perché si crea il proprio stile così come il proprio modo di muoversi. Ognuno si avvicina poi a quelle che sono le sue caratteristiche fisiche, o al percorso che piace maggiormente, anche in virtù dell’estremo libertà che concede questo splendido sport”. 

Che consiglio daresti a chi si avvicina a questo sport?

“Il parkour viene purtroppo visto ancora in Italia con una connotazione negativa, e questo si evince dai numeri che mostrano come siano ancora pochi gli atleti che si dedicano a questo sport. Essendo donna, e parlando quindi anche a nome della categoria femminile, voglio innanzitutto rimuovere quello stereotipo secondo il quale il parkour sia uno sport sostanzialmente maschile, per cui tutti possono avvicinarsi semplicemente attraverso l’allenamento. Al di là della problematica pandemica, anche nel parkour c’è un problema legato alla mancanza di strutture: in Penisola, ad esempio, mancano palestre dedicate e bisogna perciò allontanarsi per coltivare questa passione. Per chi è realmente interessato al parkour in strada, posso consigliare di contattare me, o atleti che postano le proprie performance sui social, ed organizzarsi per condividere attività ed esperienze. Io ho iniziato proprio così: sono entrata in contatto con atleti che praticavano parkour, e da lì ho cominciato a far parte dei gruppi di allenamento. All’esterno permane qualche remora perché questo sport viene ancora concepito come uno sport estremo, ma spero che i giovani, anche attraverso la mia esperienze e i video che circolano in rete, possano avvicinarsi in sicurezza e senza alcun tipo di timore”.  

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