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Trump a Starmer: 'Deluso da Putin ma non voglio la guerra'

Il premier britannico: 'Prema su Mosca'. Alleati di ferro, divisi sulla Palestina.

tempo di lettura: 4 min
di Ansa
19/09/2025 08:40:18

"Amici" per la pelle sul piano personale, a dispetto di tutte le differenze d'origine, e alleati "senza uguali" al mondo sulla scena internazionale, dalla difesa, alla sicurezza, all'hi-tech, agli investimenti.
Ma incapaci di colmare le "divergenze" - retorica a parte - sulle due crisi più gravi e sanguinose del tempo presente: la guerra fra Russia e Ucraina, in corso da 3 anni e mezzo, e l'escalation israeliana nella Striscia di Gaza, iniziata ormai quasi due anni fa. E' il paradosso che emerge dal vertice di Chequers, alle porte di Londra, fra Donald Trump e Keir Starmer: ultimo atto dell'inedita seconda visita di Stato del presidente americano nel Regno Unito. Un successo a tutto tondo sul terreno della coreografia e dell'accoglienza reale in cui Trump ha potuto crogiolarsi, blindatissimo, fra il castello di Windsor e la la residenza elisabettiana di campagna dei primi ministri dell'isola nel Buckinghamshire. Ma non certo un momento di svolta sul dossier ucraino. Tanto meno su quello mediorientale.
 
Come è emerso chiaramente nella conferenza stampa conclusiva, al di là dell'esibizione di riconoscimenti ed elogi reciproci: con Trump pronto a esaltare l'abilità negoziale del premier laburista sui dazi o a inneggiare a Carlo III come a "un grande re"; e sir Keir a evidenziare una bromance "sincera" con "l'amico" Donald. Il tema del conflitto in Ucraina non poteva non tenere banco nelle stesse ore in cui Vladimir Putin ha rilanciato il guanto di sfida, rivendicando per la prima volta esplicitamente la presenza nel Paese di Volodymr Zelensky di una forza militare di "700.000 uomini". Il leader del Cremlino "mi ha davvero deluso", ha replicato Trump. Tornando ad accreditarsi il merito di aver fermato "sette conflitti insolubili", non senza ammettere d'aver finora fallito su quello che gli sembrava "il più facile" da affrontare date le sue "relazioni col presidente Putin". Parole su cui Starmer, promotore della cosiddetta Coalizione dei Volenterosi europei pro Kiev in tandem con il francese Emmanuel Macron, ha provato a far leva invocando "pressioni extra" sullo zar, anche e soprattutto da parte americana; senza però far breccia, visto che l'uomo della Casa Bianca si è limitato a evocare la speranza di "qualche buona notizia" nei prossimi giorni e a scaricare sull'Europa la sollecitazione a interrompere tutte le forniture di petrolio russo come chiave di volta per forzare Mosca a negoziare. Difendendo d'altronde l'opportunità del suo vertice di agosto in Alaska con Putin e ribadendo di non volere in nessun caso affrontare il rischio di "una terza guerra mondiale" fra potenze nucleari. Oltre a non dire nulla di concreto sulle vitali garanzie di sicurezza Usa per il futuro dell'Ucraina evocate persino da re Carlo, nel brindisi del banchetto di Stato a Windsor, in un fervorino intessuto di lodi agli "sforzi per la pace" attribuiti al presidente-magnate, ma pure di richiami al pericolo delle "tirannie che tornano a minacciare l'Europa".

Stessa musica sulla questione palestinese. Rispetto alla quale Trump è stato anzi ancor più netto. Rigettando il riconoscimento formale dello Stato di Palestina annunciato all'Onu per fine mese da Londra assieme a Parigi e ad altri come "uno dei nostri pochi motivi di divergenza"; e ignorando i riferimenti di Starmer alla "situazione intollerabile" di Gaza per puntare il dito ancora una volta soltanto sulla "brutalità" di Hamas, sul 7 ottobre e sulla "liberazione immediata degli ostaggi" israeliani: condizione preliminare per imporre a Netanyahu di fermarsi. Dissensi che tuttavia non cancellano il resto. A incominciare dalla firma di un mega-accordo di partnership tecnologica (nuova frontiera dell'intelligenza artificiale in testa) corredato da investimenti incrociati per 250 miliardi. Numeri che, nel linguaggio trumpiano, suggellano "il legame indistruttibile" Usa-Gb: anche oltre la tradizionale "special relationship". Un legame che si rinsalda sul fronte degli affari - simboli e richiami storici a parte - alla presenza di un impressionate parterre di miliardari dalle due sponde dell'oceano. E rivela sintonie inaspettate financo sulla linea dura proclamata in tema di espulsioni di "migranti illegali". Mentre sulla partita dei dazi Trump non va per ora oltre l'intesa bilaterale "privilegiata" (al 10%) concessa a Londra mesi fa. E la questione dello scandalo Epstein, imbarazzante per entrambi i leader, si risolve in una sorta di patto del silenzio: sancito addirittura dal disconoscimento di lord Peter Mandelson, ambasciatore britannico a Washington che Starmer è stato costretto a silurare appena la settimana scorsa per le frequentazioni col defunto faccendiere pedofilo newyorchese.

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