Una lunga telefonata. Al cellulare. Effettuata (o ricevuta) mentre aspettava che il figlio scendesse in strada per andare insieme a quel provino per il film sulla camorra rimasto solo un innocente desiderio. Gino Tommasino, raccontano testimoni oculari, il pomeriggio in cui venne ammazzato rimase fermo in auto sotto casa sua per almeno dieci minuti. In attesa del suo figliolo, che doveva scendere da casa e raggiungerlo in auto. Dieci minuti seduto al sedile di guida nella sua automobile, la Lancia beige dentro cui di lì a poco avrebbe incontrato la morte, esposto a qualsiasi imprevisto, parlando al telefonino con un interlocutore rimasto sconosciuto e che gli inquirenti stanno individuando attraverso l’esame dei tabulati. Dieci minuti, durante i quali il «palo» o i «pali», incaricati dai killer, potrebbero aver avuto modo di spiarlo e di sorvegliarne gesti, parole, movimenti. Il dettaglio della telefonata al cellulare fa emergere un nuovo interrogativo, l’ennesimo in questa indagine che si fa sempre più impegnativa per i magistrati della Dda che la stanno conducendo insieme alla squadra Mobile di Napoli, Vittorio Pisani, e al commissariato locale: perchè i suoi carnefici non sono intervenuti mentre telefonava sotto casa, in una situazione in cui era da solo, distratto dalla telefonata, sovraesposto e perciò particolarmente indifeso? La stradina in cui abita la famiglia Tommasino è assai stretta e conduce a un breve tunnel che poi immette sul largo viale Europa. Per i sicari sarebbe stato facile sparare e fuggire in direzione del viale. Di certo sarebbe stato meno rischioso che lanciarsi nel folle inseguimento fra moto e auto che li ha portati a rischiare di colpire il figliolo di Tommasino e a sparare all’impazzata proprio davanti alla sede del palazzo di giustizia, che in genere è presidiato da vetture della polizia o dei carabinieri. Indagini complicate. La pista dei rifiuti e del termovalorizzatore non incrocia riscontri adeguati. Restano in piedi le altre piste. Troppe. Si lavora sulle vicende private del consigliere ammazzato, sulle sue frequentazioni (non solo professionali), sui suoi conti correnti, sul mutuo da 150mila euro, sugli eventuali debiti. Si tenta fra l’altro di approfondire il senso della lite e delle conseguenti minacce che Tommasino avrebbe subìto da personaggi di malavita. L’episodio avrebbe complicato la natura dei rapporti tra il consigliere ammazzato e altri esponenti della vita amministrativa stabiese. Nessuno ha finora ritenuto di ridimensionare l’episodio della lite e delle minacce che ne derivarono. Ma resta in primo piano anche la materia di competenza comunale, connotata da decine di appalti, delibere, finanziamenti. La privatizzaione delle Terme, i parcheggi (Tommasino avrebbe spinto per alcune assunzioni), la loggia massonica nascosta. A Scanzano, Moscarella e Savorito - rioni ad alto rischio camorra - la polizia ha intanto fermato un centinaio di persone. E spunta un’altra pista: Gino Tommasino, con l’associazione Itaca, si accingeva a lanciare un massiccio programma di guerra alle droghe, specie a quelle sintetiche. Tutto era pronto, si era a un passo dal via. Contro un business da capogiro. Che avvelena e non ammette intralci. L’obiettivo? Introdurre la cultura anti-droga nelle scuole, nelle discoteche, nei locali pubblici dell’area stabiese. Senza chiedere il permesso ai clan.
Per il piano anticlan giovedì vertice in prefettura
Richiesta esaudita: si terrà giovedì la riunione straordinaria del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza organizzato dalla prefettura di Napoli con la partecipazione di esponenti dell’amministrazione comunale stabiese. Richiesta esaudita. A chiedere infatti una riunione era stato, all’indomani dell’omicidio del consigliere comunale Gino Tommasino, il sindaco Salvatore Vozza. Perchè questa richiesta? «Perchè - aveva spiegato il primo cittadino - l’efferato omicidio del nostro consigliere significa una sfida eccezionale che la criminalità organizzata lancia allo Stato e alle istituzioni democratiche. In tal senso, è necessario che lo Stato, nelle sue articolazioni più autorevoli, si unisca alle forze politiche locali per una condanna forte e unanime della criminalità». Nel contempo, Vozza - che esprime il suo grazie per la rapida convocazione da parte del prefetto di Napoli - ha fin dal primo momento messo la documentazione municipale a disposizione degli inquirenti: «Tutte le carte che stanno nel mio cassetto sono pronte per essere consegnate ai magistrati. Sia chiaro che vogliamo la piena verità su questo orrendo omicidio e la vogliamo al più presto. Ma, per favore, si faccia attenzione a non confondere la storia di Castellammare, che è antica, ricca e prestigiosa, con una vicenda gravissima su cui occore far piena luce». Oggi intanto si riunisce a Roma la commissione anti-mafia. Il presidente Pisanu dovrà decidere se accettare l’invito del sindaco Vozza, che ha chiesto ai membri della commissione una visita in loco. Sulla richiesta si sono espressi nei giorni scorsi due autorevoli suoi esponenti. Luisa Bossa, ex sindaco di Ercolano, ha sottolineato quanto sia importante, di fronte agli attacchi della criminalità, non far sentire soli i rappresentanti locali delle istituzioni. L’ex sindaco ha ricordato il pesante clima di paura e intimidazione che vige in questo periodo in tutta l’area a sud di Napoli: «Ercolano, Torre Annunziata, Castellammare sono centri in cui i clan in evoluzione condizionano la vita di migliaia di persone normali. Bisogna andare in loco ad ascoltare chi si batte ogni giorno contro i delinquenti». Anche Marcello Taglialatela, componente del Pdl della commissione anti-mafia, ha accolto senza remore la richiesta del sindaco Vozza: «Sono disponibile. E fa bene il sindaco a mettere i documenti a disposizione dei mabgistrati».
«I giovani talvolta pagano l'inesperienza, espulsione formativa per Cacciamani. Nel secondo tempo ci siamo abbassati troppo presto, avremmo potuto gestire il pallone con maggiore intelligenza»