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Castellammare - Estorsioni, i D'Alessandro volevano mettere le mani anche su Casa del Fascio

Liberato Paturzo non accettava che i lavori alla biblioteca non fossero svolti dagli stabiesi

tempo di lettura: 3 min
di Gennaro Esposito
28/01/2019 08:27:17

«Questo se lo aspetta se facciamo qualcosa. Ci sono le telecamere anche. Se prendevo io questi lavori facevo lavorare gli stabiesi». A dirlo è Liberato Paturzo, imprenditore edile del clan D'Alessandro, durante una conversazione con Vincenzo Di Vuolo all'esterno del Palazzo del Fascio, in villa comunale a Castellammare. Era il 2014, l'appalto era stato assegnato ma i due non riuscivano ad accettare il fatto che il Comune avesse affidato ad un'Ati esterna i lavori (che tra l'altro non sono stati ancora completati) per la biblioteca comunale. Un comportamento inusuale nella città delle acque considerato che Paturzo e Di Vuolo riuscivano a intercettare gran parte degli appalti, pubblici e privati. Per vendicarsi, avrebbero anche piazzato delle bombe se non fosse che la ditta, la prima che ottenne i lavori, avesse piazzato delle telecamere intorno al perimetro di Casa del Fascio. Gli stabiesi che affidavano lavori a ditte esterne, come nel caso dei proprietari della Banca stabiese, meritavano «quattro cinque schiaffoni perchè i soldi li fanno a Castellammare e poi li portano fuori. Non va bene così». Pratica tipica dei D'Alessandro come è emerso anche dal'arresto di un imprenditore che portò a termine un'estorsione in piazza Principe Umberto nel mese di agosto del 2018.

Le passeggiate di Liberato Paturzo e Vincenzo Di Vuolo erano costanti a Castellammare. I due miravano ai lavori dei condomini, ristrutturazioni e messe in sicurezza. Contattavano con numeri anonimi gli amministratori e imponevano loro la propria ditta, la C.E. Costruzioni diretta da un prestanome. Il Paturzo, non contento, spesso minacciava anche coloro che non volevano piegarsi con mazze da baseball o bastoni che occultava all'interno della sua vettura. Il summit con gli uomini dei clan avvenivano in un terreno di sua proprietà, nei pressi di un container che era controllato da tempo dalla Direzione Distrettuale Antimafia con microspie e telecamere.

Gli affari a Gragnano. Il ruolo di Paturzo era fondamentale sia per i D'Alessandro che per i Di Martino, due cosche attivissime nel comprensorio stabiese. A Castellammare i primi si occupavano dei lavori di somma urgenza in alcune zone della città mentre a Gragnano, i secondi puntavano sui pastifici e allo stesso tempo sui condomini. Nella città delle acque a controllare l'imprenditore erano Pasquale D'Alessandro, Vincenzo D'Alessandro e Paolo Carolei, nella città della pasta soprattutto Antonio Di Martino, figlio di Leonardo o' lione. Quest'ultimo in particolare imponeva il pagamento di circa 15mila euro l'anno ad un pastificio molto noto di Gragnano che, per evitare problemi alla propria attività, consegnò anche i lavori di manutenzione all'interno degli edifici alla ditta di Paturzo. Un appalto da circa 800mila euro che finì direttamente nelle mani della camorra. Secondo quanto ricostruito dalla DDA, le estorsioni (in tre rate in occasione delle festività) venivano anche redicontate e venivano mascherate dietro spese per l'acquisto di materiale edile.

Anche se si muoveva per conto dei clan, Paturzo aveva molto potere. Riusciva ad incutere timore agli imprenditori che, nonostante le convocazioni dalla Direzione Distrettuale Antimafia, non hanno mai fatto il suo nome e non hanno mai collaborato con gli inquirenti. Come nel caso di una società che aveva ricevuto il compito di mettere in sicurezza il costone di via Castellammare che, dopo aver ricevuto le minacce del duo Paturzo/Di Vuolo, decise di abbandonare l'appalto a favore dei secondi senza mai denunciare.

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