I centri di intrattenimento non sono solo luoghi di svago: spesso, più di quanto si pensi, tengono in piedi pezzi interi di economia locale. Discoteche, casinò, sale giochi, locali per eventi sono veri e propri ecosistemi, più che semplici spazi. L’effetto sul lavoro non si ferma ai contratti del personale di sala; si allarga, a volte in sordina, su turismo, ristorazione, trasporti, commercio di prossimità. Comprendere il funzionamento di questi ingranaggi aiuta a leggere il ruolo strategico che tali centri giocano nell’economia dei territori e, con molte sfumature, nella loro vita sociale.
Le opportunità immediate offerte sono spesso molto concrete. Nelle discoteche, ad esempio, la quota di under 30 supera il 36% secondo diverse rilevazioni. Molti firmano qui il primo contratto, con tutti i vantaggi e i limiti noti. I casinò e le sale slot aprono ventagli di ruoli: croupier, baristi, addetti alla sicurezza, tecnici di manutenzione. Il tipo di esperienza lavorativa varia: si passa dalla formazione specifica per i giochi da tavolo a mansioni più generaliste nel food & beverage. Per molti si tratta di una porta d’ingresso che diventa palestra professionale grazie ai turni serali, ai ritmi irregolari e alle competenze acquisibili e spendibili altrove.
L’indotto, considerando i dati, incide ancora di più. Stando a stime di settore, circa il 59,5% del fatturato dei club arriva dai turisti. Questo dato evidenzia un comportamento: chi viene per una serata o per tentare la fortuna non spende soltanto all’interno del locale. Prenota camere, sceglie un ristorante o un pasto veloce, chiama un taxi, noleggia un'auto e talvolta effettua acquisti il giorno dopo. Si genera così un effetto domino. Il lavoro nasce anche in ambiti inaspettati e spesso non viene conteggiato per intero.
Un caso noto è Expo Milano. Non rappresenta l’unico modello possibile, ma ha mostrato quanto un evento di grande scala possa generare occupazione. Sono stati creati circa 87.000 nuovi posti tra accoglienza, ristorazione, commercio e trasporti. Molti sono temporanei, ma una parte di questi posti si consolida quando resta la domanda o le competenze acquisite trovano impiego stabile. Diverse città italiane potrebbero sfruttare meglio questa opportunità; serve coordinamento oltre che un semplice calendario di eventi.
Questi luoghi non sono soltanto casse e piste: agiscono da presidio sociale, soprattutto per i giovani. Non si tratta solo di lavoro, ma anche di presenza, rituali e di una comunità che resta viva, specialmente nei centri urbani e nelle mete turistiche. Quando chiudono, si crea un vuoto evidente. La pandemia lo ha reso chiaro: con i locali chiusi si indeboliscono l’occupazione diretta e indotta, le strade si svuotano, i ragazzi si spostano altrove e il commercio di vicinato si riduce. Non tutto era inevitabile, ma l’effetto a catena è stato netto.
Il settore viene spesso considerato marginale. Tuttavia, rimane una delle poche porte d’accesso al lavoro per chi inizia. La sua tenuta è quindi una questione strategica per l’attrattività dei territori. Negli ultimi anni, secondo i dati, oltre 2.100 locali hanno chiuso in Italia, con migliaia di posti a rischio. Tra le possibili soluzioni vi sono regole chiare, costi sostenibili, formazione anche oltre i ruoli base, e politiche urbane che riconoscano il valore dell’intrattenimento. La vitalità di questi spazi non si limita alla contabilità: riflette l’identità dei luoghi e, in molti casi, il livello di vivibilità di un quartiere.
Le interviste a Fabio Mangone - Direttore Museo Correale; Luca Di Franco - Sovrintendente Antichità, Belle Arti e Paesaggio; Gaetano Mauro - Presidente Museo Correale.