Cronaca
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Condannato specchiettista del clan D’Alessandro

SETTE ANNI PER ANTONIO VITIELLO.

tempo di lettura: 2 min
di Vincenzo Sbrizzi
21/11/2008 8.45.45

Secondo la Dda napoletana era lo “specchiettista” del clan D’Alessandro e per il sodalizio diretto da “Luigino”, ha segnalato ditte a cui formulare richieste estorsive e comunicato spostamenti di persone da eliminare. Per questi motivi la seconda sezione del tribunale di Torre Annunziata ha riconosciuto la sua appartenenza allo storico sodalizio criminale stabiese e l’ha condannato a sette anni di reclusione. Si tratta di Antonio Vitiello, alias “’o stagntiello”, a processo dinanzi al collegio, presieduto da Maria Rosaria Aufieri, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. La condanna comminata dal tribunale oplontino ha superato le richieste della pubblica accusa rappresentata in aula dal pm Dda, Pierpaolo Filippelli. L’antimafia ha chiesto, infatti, una condanna a cinque anni di reclusione escludendo l’aggravante dell’utilizzo di armi da parte del sodalizio introdotta nel 2005. I fatti in contestazione risalgono al 1998, anno fino al quale l’imputato ha fatto parte del clan stabiese. Con altri rappresentanti dello stesso è stato giudicato dalla prima sezione della Corte d’Assise di Napoli per l’omicidio di Casimiro Longobardi, reato scopo per cui venne, però, assolto con formula piena, e per cui era accusato di aver comunicato gli spostamenti della vittima prima del delitto. Con questo ruolo lo ritenevano affiliato al clan diversi collaboratori di giustizia organici dei D’Alessandro le cui dichiarazioni erano concordi nell’affermare la sua intraneità al sodalizio. Ad indicarlo come basista sono stati Ciro Avella, secondo cui insieme a Beniamino Pascucci segnalava le ditte nautiche da estorcere, Gennaro Avella, che l’8 aprile 2002 lo identificò come colui che segnalava lo spostamento delle vittime, Antonio Fontana che il 27 gennaio 2003 lo definì il braccio destro di Verdoliva, e Maresca Ernesto. Dichiarazioni su cui era basata l’accusa ritenute fondate dal tribunale che lo ha condannato in primo grado.

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