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Castellammare - Immacolata stabiese, tra fede e fuoco: il racconto sulle origini di una tradizione secolare

Tra riti antichi, devozione popolare e bisogni sociali: come nacque davvero la festa identitaria della città.

tempo di lettura: 3 min
10/12/2025 19:12:56

L'Immacolata a Castellammare è un’attesa, un rito collettivo che comincia prima dell’alba, si accende al calar della sera e prende forma nel fuoco, nella preghiera e nella voce del popolo. La festa dell’Immacolata, così come ancora oggi viene vissuta dagli stabiesi, affonda le sue radici in un intreccio profondo di religiosità popolare, storia sociale e antiche simbologie.

Le sue origini moderne sono legate alla figura del Venerabile Francesco Saverio Petagna, vescovo di Castellammare dal 1850 al 1878. Fu lui a dare struttura e significato alla dodinica dell’Immacolata, la novena popolare che si svolge all’alba tra il 26 novembre e l’8 dicembre. In quegli anni di dura industria e lunghissime giornate di lavoro, Petagna volle anticipare il Rosario alle prime ore del mattino, permettendo agli operai di onorare la Madonna prima di entrare in fabbrica. Ma recarsi in chiesa, allora, non era cosa semplice. Le strade erano buie, prive di illuminazione elettrica, e il rischio di assalti era reale. Nacque così il corteo dei devoti muniti di torce: una processione primitiva, concreta, nata per illuminare il cammino e proteggere i fedeli. Una fede, dunque, che camminava insieme alla necessità.


A dare voce a questo rito ci pensavano - e ancora oggi lo fanno - i “Fratielle e Surèlle”, che all’alba chiamano il popolo alla preghiera con il canto rituale in dialetto: “Amma ’e dicere ’o rusario ’a Maronna”. È un richiamo che risveglia la città, una tradizione tramandata oralmente, più forte di qualsiasi programma ufficiale.

Accanto alla devozione mattutina, un altro elemento simbolico segna profondamente la festa stabiese dell’Immacolata: il fuoco. I grandi fuocaracchi, accesi la sera del 7 dicembre, rappresentano il cuore pagano e ancestrale della celebrazione. Un gesto che richiama riti antichissimi, molto precedenti al cristianesimo, legati al bisogno di luce, calore, protezione e rinnovamento.

Non a caso, un’usanza simile esisteva un tempo anche per San Catello, quando i fuochi venivano accesi il 17 gennaio per aprire i giorni di festa del patrono. Il cristianesimo ha accolto e reinterpretato questi simboli, inserendo il fuoco in una nuova cornice teologica e iconografica, senza cancellarne il valore originario.

Con il tempo, la funzione pratica dei ceppi - riscaldare e illuminare - è venuta meno, sostituita dalle luminarie elettriche. Ma il fuoco è rimasto, trasformandosi in segno identitario, memoria viva di un modo antico di essere comunità.

E poi c’è l’aspetto domestico e dolce della festa: la sera del 7 dicembre, nelle case stabiesi si preparano le zeppole dell’Immacolata, o graffe, frittelle dorate arricchite con miele e confettini colorati. Un rito semplice, familiare, che completa il cerchio della tradizione. La festa dell’Immacolata, a Castellammare, non è dunque solo una celebrazione religiosa. È la somma di gesti antichi, di necessità storiche, di devozione popolare e di simboli ancestrali. È il racconto di una città che, anno dopo anno, continua a riconoscersi nel fuoco acceso nella notte e nella voce che, all’alba, invita ancora: Fratielle e Surèlle.

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