Furono autori di un omicidio che attirò le attenzioni del Ministero dell’Interno, della Dda, della politica nazionale e degli investigatori napoletani. I quattro killer di Gino Tommasino misero a segno un omicidio ‘politico’ che ebbe un’eco mediatica per certi versi anche superiore all’omicidio Fortugno, avvenuto mesi prima in Calabria. Ma non solo: si resero protagonisti di un delitto dimostrativo, sparando 13 proiettili di una pistola calibro 9 luger, di fabbricazione cecoslovacca alla presenza del figlio del consigliere comunale del Pd (rimasto illeso nell’agguato), in pieno centro, davanti agli occhi terrorizzati di centinaia di persone. E ancora: si resero latitanti volontari, tentarono in tutti i modi di inquinare le prove, distrussero l’arma illegale con cui uccisero il politico e successivamente commisero altri omicidi a sfondo camorristico.
Ieri mattina, davanti al giudice per l’udienza preliminare Isabella Iaselli del tribunale di Napoli, i quattro componenti del commando che il 3 febbraio 2009 si resero protagonisti del raid camorristico in viale Europa sono stati rinviati a giudizio per l’accusa di omicidio pluriaggravato e detenzione abusiva di arma da fuoco. Si tratta di Salvatore Belviso, 28 anni, Renato Cavaliere, 39 anni, Catello Romano, 21 anni e Raffaele Polito, 28 anni, tutti ritenuti affiliati di primo piano del clan D’Alessandro. Mentre per Catello Romano (assistito dal penalista Francesco Schettino) il gup Iaselli ha rigettato la richiesta di rito abbreviato condizionato, per Raffaele Polito, collaboratore di giustizia, il magistrato ha ritenuto sussistente invece la richiesta della difesa di giudizio con rito alternativo (è già stato condannato a 10 anni). Decisive - nella motivazione di rinvio a giudizio - la telefonata anonima che Raffaele Polito effettuò poche settimane dopo il delitto agli agenti del commissariato stabiese: “Conosco i nomi di chi ha assassinato Tommasino”, disse, raccontando ai poliziotti nomi, fatti e circostanze utili per aprire un’inchiesta poi trasferita per competenza in materia alla Dda di Napoli.
Un delitto che - secondo gli inquirenti - fu commissionato proprio dalla cosca scanzanese per un movente riconducibile a rapporti ancora da chiarire tra il consigliere comunale e la camorra locale. La svolta investigativa lo scorso 9 ottobre, con l’arresto di Salvatore Belviso, grazie anche alla definitiva collaborazione di giustizia di Polito, che in un primo momento dichiarò di essere stato l’esecutore materiale del delitto. Successivi riscontri però rivelarono che a sparare furono Renato Cavaliere e Catello Romano: quest’ultimo si rese anche protagonista di una clamorosa evasione dalla località protetta in cui fu trasferito dopo la sua disponibilità a collaborare con la giustizia. Si trattò però di un bluff: il 19enne fuggì Torino e si rese irreperibile per un mese. Fu catturato a metà novembre a Teverola, nel casertano e dichiarò agli inquirenti di voler ritrattare tutte le accuse messe a verbale il giorno stesso in cui fu fermato dagli agenti del commissariato stabiese. La fase dibattimentale del processo comincerà il prossimo 23 novembre in Corte d’Assise. Ecco dunque le posizioni dei tre imputati più quella di Polito, come detto, è già condannato con rito abbreviato.
Renato Cavaliere
E’ considerato l’esecutore materiale e la mente dell’organizzazione che studiò l’omicidio Tommasino. Renato Cavaliere (difeso dal penalista Renato D’Antuono), ormai quasi quarantenne, era chiamato ‘lo zio’ per via della sua lunga militanza all’interno del clan: si occupò delle fasi successive al delitto trasferendo Polito in una residenza segreta in Toscana, precisamente a Pian del Castagnaio, un casolare preso in affitto grazie alla mediazione dei fratelli Mantice di Napoli, indagati per favoreggiamento.
Salvatore Belviso
Detto ‘Sasi’ dagli amici. E’ cugino di primo grado del boss Vincenzo D’Alessandro e capo della cellula scanzanese specializzata in estorsioni e omicidi. Accusato anche dal pentito Spera è fortemente sospettato di essere coinvolto anche nell’omicidio del parcheggiatore abusivo Antonio Scotognella. Convogliò intorno a se un gruppo di spietati killer (è difeso dal penalista Alfonso Piscino).
Catello Romano
Altro esecutore materiale, insieme a Cavaliere. E’ sicuramente quello che ha fatto parlare di più per via della sua rocambolesca fuga e del suo pentimento ritrattato dopo il secondo arresto. La difesa sostiene che il ragazzo fu indotto con la violenza a scegliere l’iniziale collaborazione.
Si nascose per circa un mese a Torino, fino alla sua cattura avvenuta a Teverola, nel casertano. Fu lui ad organizzare i pedinamenti a carico del consigliere.
Raffaele Polito
L’inchiesta sui killer partì grazie alle sue telefonate anonime ai poliziotti, con cui - di fatto - cominciò la sua collaborazione. Si assunse la paternità dell’omicidio (materialmente) tentando di lasciare fuori dall’inchiesta Belviso. Il pm Filippelli lo costrinse a dire la verità: dopo due sedute vuotò il sacco e raccontò tutto per filo e per segno.
Raccontò tutte le fasi del delitto: da quando lui e Romano pedinarono il consigliere, studiando i suoi movimenti e i suoi orari. Il giorno precedente all’omicidio, l’agguato fallì perchè Tommasino rientrò in casa prima dell’orario stabilito: “Altrimenti lo avremmo ammazzato sull’uscio di casa”, disse. L’agguato, infatti, doveva avvenire in via De Nicola: Tommasino sininfilò in auto e riuscì a partire anticipando i killer, che lo seguirono fino al viale Europa e all’altezza del tribunale fecero fuoco, uccidendolo sul colpo.
Il tecnico gialloblù alla vigilia del match contro la Cremonese: «Una cosa bella per Castellammare ed è di buon auspicio per altre realtà come la nostra. Il recupero di Fortini? Vedremo, siamo fiduciosi.»