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Castellammare - Cimmino e altri 3 incandidabili, ecco perchè

Cimmino, Russo, Calì e D'Apice non potranno candidarsi per le prossime 2 tornate elettorali. 

tempo di lettura: 4 min
27/01/2024 08:21:49

Nel contesto “che ha condotto allo scioglimento del Comune di Castellammare di Stabia che è quello di un comune fortemente esposto all'illegalità e al condizionamento criminale”, il sindaco Gaetano Cimmino “ha omesso di intervenire al fine di ripristinare la legalità violata”. E’ questo, in estrema sintesi, ciò che emerge dalla sentenza emessa ieri dal Tribunale di Torre Annunziata che ha decretato l’incandidabilità di Cimmino e di altri 3 ex amministratori dell’ente sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata. Oltre all’ex sindaco, lo ricordiamo, non potranno ricandidarsi per le prossime due tornate elettorali gli ex assessori Fulvio Calì e Giovanni Russo, e l’ex presidente del consiglio Emanuele D’Apice.

Nelle 55 pagine della sentenza firmata dal presidente della Camera di Consiglio, dott.ssa Marianna Lopiano e dal giudice relatore dott.ssa  Maria Rosaria Barbato, viene spesso richiamata la relazione prefettizia redatta dai commissari mandati dal Ministero e da cui è scaturita la decisione di sciogliere il consiglio comunale di Castellammare di Stabia. Richiami necessari per comprendere la grave “situazione in atto” al Comune e per sottolineare come la stessa “sia rimasta, almeno nei suoi termini generali, del tutto ignota al Sindaco in carica, ma, soprattutto, non appare giustificabile che quest'ultimo, quale rappresentante del governo cittadino, non abbia in alcun modo vigilato, richiesto informazioni, eventualmente sollevato contestazioni ai propri Assessori od alle stesse strutture tecniche interne dell'Ente, in modo da portare alla luce ovvero ostacolare la situazione di illegalità in atto, che ha infatti portato allo scioglimento del Consiglio Comunale”.  Una posizione aggravata dalla “lunga e ininterrotta militanza dell’ing. Gaetano Cimmino nell’amministrazione comunale della città (ininterrottamente dal 1997) , con ruoli di amministrazione attiva, dapprima come vicesindaco e successivamente come sindaco”. I giudici osservano anche che “se per un verso non può che convenirsi quanto all'impossibilità per il Sindaco di intervenire con specifici atti amministrativi mirati nelle diverse situazioni di illegittimità evidenziate dalla relazione prefettizia, non è certo irrilevante, ai fini del presente procedimento, il comportamento omissivo dallo stesso tenuto”. “Ero convinto di aver fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità, ma evidentemente non è stato abbastanza” ha commentato Cimmino. “Dobbiamo costruire nuovi strumenti, apriamo una seria discussione. Auspico una modifica della legge che delinea il confine tra abuso d’ufficio e omissione in atti d’ufficio. Soprattutto nei territori come il nostro”.

A pesare sulla posizione dell’ex assessore Giovanni Russo, invece, è stata l’aggiudicazione di appalti, “sovente avvenute per affidamento diretto, nel settore dei pubblici appalti, a società colpite da interdittive antimafia, o con dipendenti legati al modo della criminalità organizzata”.  Su Russo “grava la responsabilità omissiva in relazione al potere di indirizzo e controllo relativamente ai settori di amministrazione cui era preposto” atteso che la legge conferisce ai politici “un generale potere di controllo e sanzione dell’operato dei dirigenti ed il dovere di intervenire a fronte di gravi e reiterate responsabilità in capo a questi ultimi”.

All’ex assessore Fulvio Calì, invece, è stata contestata l’inerzia e l’assenza “di una politica di indirizzo .. in relazione all’abusivismo edilizio”. Questo suffragato dal dato che “tra gli anni 2018 e 2021 sono state emesse 165 ordinanze per abusi edilizi, a cui sono seguiti un numero esiguo di verbali di accertamento per inottemperanza”.

All’ex presidente del consiglio Emanuele D’Apice, infine, è stato contestato il discorso che fece in aula in occasione del suo insediamento. In quella occasione, D’Apice ringraziò il padre. Ma “tenuto conto dei trascorsi” di quest’ultimo, tale episodio “non può relegarsi ad una vicenda umana e personale, ma in un contesto ambientale connotato dalla forte influenza della criminalità organizzata assume un connotato di forte disvalore ed una valenza simbolica e suggestiva di evocazione del potere dell’organizzazione criminale sul territorio, e tanto, a prescindere dalle intenzioni del D’Apice stesso” rilevano i giudici. Di qui la scure dell’incandidabilità si abbatte anche su di lui. “Le sentenze si rispettano e non si commentano – ha detto D’Apice - Ma in questo caso, che mi colpisce umanamente e mi provoca profondo dolore, si possono appellare. Non solo si ravvedono tutte le contraddizioni di una vicenda che doveva essere personale, ma anche il rammarico per come è stata fatta diventare, in maniera totalmente strumentale, una faccenda istituzionale e politica nonché un fatto di stampa, tanto inopportuno quanto difficile da dimenticare, dopo una vita per me esemplare e sempre corretta”.

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