Le Terme Nuove di Castellammare di Stabia sono state, per decenni, il simbolo di un sogno: quello di trasformare la città in una capitale del benessere, sfruttando le sue celebri acque curative. Quando il complesso del Solaro fu inaugurato nel 1964, rappresentò il cuore dell’espansione termale stabiese, la risposta moderna alla tradizione delle Antiche Terme ottocentesche, che già dai tempi dei Borbone raccontavano la città come luogo di cura, salute e turismo d’élite.
Il progetto degli anni Sessanta fu imponente: un centro termale nuovo di zecca, immerso nella collina, collegato con un passaggio coperto all’Hotel delle Terme, per formare un unico grande polo di 150.000 metri quadri. Una macchina perfettamente calibrata per accogliere migliaia di pazienti e turisti, con reparti specializzati, percorsi terapeutici, palestre riabilitative, sale per cure idropiniche, fisiokinesiterapia, trattamenti ginecologici e pneumologici. Nelle intenzioni di allora doveva essere il fiore all’occhiello della città, la punta di diamante della sua vocazione termale.
Per decenni lo è stato. Il nome “Terme di Stabia” era sinonimo di qualità, di un’offerta sanitaria e turistica rara, basata sulla ricchezza delle 28 sorgenti minerali che avevano reso famosa Castellammare già nel Settecento. Eppure, mentre il mondo cambiava, la grande macchina termale stabiese iniziava a perdere pezzi: le Antiche Terme, ricostruite a metà Novecento, cominciavano a mostrare segni di stanchezza; le nuove, ancora più grandi, iniziavano a risentire del peso dei costi di gestione, dei debiti e dei mancati investimenti.
Il colpo definitivo arrivò nel 2015, quando il complesso del Solaro chiuse i battenti. Da allora le Terme Nuove hanno conosciuto un declino rapidissimo, quasi irreale, come se un luogo ancora pieno di attrezzature e reparti fosse stato abbandonato nel giro di una notte. Chi vi entra oggi – tra muri sbriciolati, corridoi invasi da cocci, documenti sparsi a terra, apparecchiature mediche dimenticate – percepisce la vertigine di un luogo sospeso: un centro sanitario pronto all’uso, trasformato in una rovina.
La sala centrale, che un tempo accoglieva bar, punti vendita e un via vai continuo di pazienti, sembra uscita da un set post-apocalittico. Il tabellone dei reparti, ancora affisso, elenca terapie, percorsi, sale specialistiche che oggi sono solo capitoli di una storia interrotta. Le stanze della fisioterapia, le cabine dei trattamenti, persino le aree dedicate alla rieducazione vestibolare o alla scoliosi: tutto è lì, ma tutto è inusabile. La sensazione è quella di trovarsi davanti a un archivio del passato, più che a un edificio dismesso.
Perfino l’esplorazione diventa complessa: alcuni piani sono frequentati da giovani che recuperano materiali, altri reparti vengono evitati per “rumori sospetti”. Un gigante vuoto e vulnerabile, accessibile a chiunque, come se l’ultima vera forma di vita fosse rimasta intrappolata nei macchinari della centrale termica, nei forni e nelle caldaie arrugginite, un tempo essenziali per riscaldare l’acqua curativa.
Eppure, dietro questo paesaggio di abbandono, resta la memoria di ciò che le Terme Nuove sono state: un pezzo importante della storia economica, sociale e identitaria della città. Una storia che oggi si avvia al suo capitolo conclusivo. Le Terme Nuove, così come le abbiamo conosciute, non esisteranno più. L’area è destinata a ospitare il nuovo ospedale, un progetto che cambierà radicalmente funzione e prospettiva del Solaro.
Il futuro avanza. Ma davanti allo scheletro delle Terme Nuove, alla loro grandezza perduta, resta inevitabile una domanda: cosa resta, nella memoria collettiva stabiese, della stagione in cui quelle acque, quelle sale e quei reparti rappresentavano la promessa moderna di una città costruita per curare?
L'analisi del tecnico gialloblù. «Abbiamo dimostrato di avere identità ed anima. Degli arbitri non parlo»