C’è un’altra accusa di estorsione nell’ultima inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli contro il clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia. Secondo gli inquirenti, gli affiliati alla storica cosca stabiese avrebbero imposto a numerosi bar del centro cittadino l’acquisto di caffè esclusivamente da una ditta “amica”, legata al clan e compiacente alle sue attività.
Un sistema che, stando alle indagini, sfruttava il peso intimidatorio del nome D’Alessandro per mantenere il controllo economico sul territorio e garantire profitti costanti attraverso la distribuzione di un prodotto simbolo dell’economia locale.
Il “business del caffè” non sarebbe nuovo per la famiglia criminale. Già in passato, diversi collaboratori di giustizia avevano raccontato agli inquirenti come la vendita di caffè fosse uno dei settori di interesse del clan. Anche nell’inchiesta Domino III era emerso che Giovanni D’Alessandro, figlio del boss Vincenzo, gestiva una ditta impegnata nella produzione e consegna di chicchi di caffè nell’area stabiese, utilizzata – secondo le accuse – come strumento per consolidare il controllo mafioso sull’imprenditoria locale.
Le nuove accuse vanno ad aggiungersi a un quadro già pesante per la cosca, che da anni è nel mirino dell’Antimafia per un radicato sistema di estorsioni e infiltrazioni economiche. Gli inquirenti ora puntano a ricostruire la rete di complicità che avrebbe permesso al clan di mantenere il monopolio del “caffè di famiglia” nei bar di Castellammare.
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