Piove sul bagnato in casa Napoli. Sempre più irriconoscibile la squadra partenopea, lontanissima parente di quell’implacabile schiacciasassi in grado di dettar legge su ogni campo e conquistare il titolo tricolore con ben 5 giornate di anticipo. Raccogliere il testimone di Luciano Spalletti, il cui nome sarà scolpito in eterno nella memoria di un popolo finalmente festante dopo ben 33 anni di fervida attesa, sarebbe stata impresa ardua per qualsiasi allenatore. Anche per i più “blasonati” e abituati a compiere imprese da consegnare ai posteri. D’altra parte Napoli non è Milano o Torino. All’ombra del Vesuvio c’è una città che vive di calcio 7 giorni su 7, 365 giorni su 365 (quest’anno 366), ed il cui palato è diventato sempre più fine con l’avvento di Aurelio De Laurentiis che ha riportato Napoli nel gotha del calcio italiano e da 13 anni consecutivamente nelle competizioni europee. La stagione 2022/23 ha testimoniato una superiorità schiacciante di quel tiki-taka psichedelico ma concreto, capace di spadroneggiare sui campi delle rivali storiche, le cui maglie diventavano subito madide di paura e terrore per i continui pericoli che potevano arrivare da qualsiasi posizione del rettangolo verde. Una marcia inesorabile e spietata, che ha conosciuto il suo climax alla Dacia Arena, ma con il capoluogo ed i comuni della provincia (e non solo) già agghindati a festa da mesi.
Gestire una sbornia simile di luci e colori (per di più senza la continuità di Spalletti e Giuntoli) avrebbe intimorito chiunque, in una situazione paragonabile a quella vissuta da Benitez all’Inter, fagocitato dalle pance piene post-triplete conquistato da José Mourinho.
Le trattative per le prime scelte alla guida del “nuovo” Napoli non sono andate a buon fine, e Rudi Garcia (reduce dall’esonero rimediato dai sauditi dell’Al-Nassr) ha provato a rimettersi in gioco, tra chi aveva dilemmi esistenziali sulla possibilità o meno di proseguire il ciclo, e pancia piena da sbornia Scudetto o da portafoglio. Chi bussava alla porta della società per un lauto rinnovo pur avendo un contratto in scadenza dopo diversi anni, e chi tramite i propri agenti cercava continuamente il pretesto giusto per creare attriti ed aprire la strada verso un futuro lontano da chi li aveva sempre osannati nonostante le fisiologiche defaillance.
Il tecnico ex Roma non è riuscito a trovare la quadra nonostante gli sforzi per rimettere in piedi la barca, ed alcune scelte cervellotiche (anche a gara in corso) han finito per incrinare i rapporti con i leader tecnici, e la sconfitta casalinga contro l’Empoli ha segnato anzitempo la stagione del tecnico. Rudi Garcia riceve il benservito con 21 punti raccolti in 12 partite, a -10 dalla capolista Inter ma comunque al 4° posto che vale la qualificazione alla prossima edizione della Champions League.
Dopo la fumata nera con Antonio Conte, la scelta del traghettatore ricade sul nome amarcord di Walter Mazzarri, che nel 2011 aveva riportato il Napoli nella massima competizione europea per club dopo 21 anni, e l’anno successivo conquistava in finale contro la Juventus quella Coppa Italia che mancava nelle bacheche partenopee da ben 5 lustri.
Lo scetticismo iniziale viene vinto da alcune dichiarazioni di intenti. Mazzarri (inattivo da 2 anni dopo stagioni non felicissime tra Torino e Cagliari) afferma infatti di aver studiato minuziosamente il 4-3-3 di Spallettiana memoria, e di voler ripartire da quelle solide certezze per invertire la rotta. Il calendario non aiuta il tecnico di San Vincenzo, che però parte subito col botto espugnando il Gewiss Stadium di Bergamo grazie ai guizzi di Kvara ed Elmas. Subito dopo ci sono Real Madrid, Inter e Juventus. 3 gare dall’altissimo coefficiente di difficoltà, in cui la squadra gioca alla pari, crea molto di più nell’arco dei 90 minuti, ma finisce col pagare a carissimo prezzo piccole distrazioni che incideranno sulla sconfitta finale. Il 2-0 del Maradona sul Braga qualifica il Napoli agli ottavi di Champions, poi arriva il 2-1 sul Cagliari grazie ai gemelli del gol Osi-Kvara, ma poi arriva quel maledetto 19 dicembre che peserà come un macigno sui piedi ma soprattutto sulle teste della squadra di capitan Di Lorenzo.
Il cocente 0-4 contro il Frosinone in Coppa Italia mina quelle certezze che la squadra stava faticosamente acquisendo, ed anche Walter Mazzarri inizia a meditare un ritorno al passato che farà calare ancora più drasticamente il rendimento e la filosofia di gioco della squadra campione d’Italia in carica. Il 23 dicembre il Napoli perde all’Olimpico contro la Roma, e nel
match successivo contro il Monza a Fuorigrotta, riappare in corso d’opera l’amato 3-4-2-1 votato più alla difesa che all’offesa. Risultato? Uno scialbo 0-0 con Meret a prendersi le copertine opponendosi in maniera sontuosa ad un calcio di rigore battuto da Pessina. La “prima” del 2024 è da dimenticare: sotto già di un gol all'intervallo sul campo del Torino, Mazzarri inserisce Mazzocchi (appena acquistato dalla Salernitana) per Zielinski passando a 5. La gara della new-entry dura appena 5 minuti per un fallaccio su Lazaro dettato dalla troppa foga per difendere i colori della propria città, ed i granata dilagano calando il tris con disarmante facilità.
Il 2-1 agguantato in extremis sul fanalino di coda Salernitana grazie alla zampata di Rrahmani al 96’ potrebbe dare morale e fiducia in vista della Supercoppa in quel di Riyadh. Ma le due gare arabe ci consegnano due partite dove il Napoli viene completamente snaturato: contro la Fiorentina doppio pullman davanti alla porta, palla lunga e pedalare. Difesa a 5 in avvio, Simeone sblocca la gara in ripartenza, ma l’impostazione ultradifensiva non paga: Mario Rui commette una sciocchezza stendendo Ikoné, con l’attaccante francese che manda alle stelle l’opportunità di ridare un senso alla seconda frazione di gioco. L’ingresso di Ostigard è il preludio ad un 4-5-1 che consegna il pallino del gioco ad una Fiorentina troppo sterile senza Nico Gonzalez, ed un super Zerbin .permette agli azzurri di andare in finale.
La finale contro l’Inter capolista è una “non-gara”. Il match di campionato con una squadra volenterosa e propositiva, aveva visto Di Lorenzo e compagni dominare per i primi 45 minuti fino al gol di Calhanoglu viziato dal fallo netto di Lautaro su Lobotka non ravvisato dal VAR. La rivincita in Supercoppa non c’è praticamente mai, visto che Mazzarri consegna fin dalle primissime battute le chiavi del gioco a Simone Inzaghi che domina in lungo e in largo pur senza trovare sbocchi. Il doppio giallo sventolato in faccia a Simeone diventa l’alibi perfetto per chiudersi ancora più a riccio: di Kvaratskhelia l’unico tiro in porta della partita, mentre i nerazzurri macinano occasioni su occasioni fino a trovare il gol della vittoria con il solito Lautaro a tempo scaduto.
Nel frattempo il mercato porta all’ombra del Vesuvio altri colpi: Ngonge, Traoré, Dendoncker. Domenica 28 gennaio c’è la sfida dell’Olimpico contro la Lazio dell’ex Maurizio Sarri. Il Napoli è senza tanti calciatori tra squalifiche, infortuni e gli impegni in Coppa d’Africa. Stesso discorso per la Lazio, che deve fare di necessità virtù dovendo rinunciare ad Immobile e Zaccagni su tutti. Confermata al difesa a 5, ed il risultato è la peggior partita stagionale del Napoli. Uno scialbo 0-0 con nessun tiro in porta, come accaduto soltanto in altre due occasioni dal ritorno della squadra partenopea in Serie A nel 2007/08. I capitolini spingono, provano l’ebbrezza dell’eurogol del Taty Castellanos ma in posizione irregolare, e tentano a più riprese di far propria la gara con tiri dalla lunga distanza, a causa della grande densità di uomini negli ultimi 20 metri a difesa di Gollini.
Walter Mazzarri, in conferenza stampa, ha detto di aver ritrovato una squadra con la “S” maiuscola. Può definirsi così una squadra con il solo Lobotka a fare da instancabile trait d’union tra reparti sfilacciati, con Raspadori a brancolare nel buio alla ricerca di un supporto mai giunto a destinazione?.. L’obiettivo minimo è il quarto posto: dista solo 4 punti, e passa per conquistare l’intera posta in palio negli scontri diretti come quello contro la Lazio che si trovava 2 lunghezze avanti. Le assenze e gli arbitri possono davvero essere l’alibi per giustificare una squadra che ha smarrito il proprio dna propositivo, per pensare esclusivamente a mettere in cascina almeno un punticino? Può essere efficace, per una squadra tecnica che ha sempre fatto della fluidità nel fraseggio il proprio marchio di fabbrica, questo atteggiamento scialbo ed arrendevole contro rivali più che alla portata? Il campionato corre veloce e nessuno regala nulla. Domenica prossima c’è il Verona (rivoluzionato nella sessione invernale di mercato) al Maradona, e gli allenamenti in settimana permetteranno ai nuovi acquisti di migliorare sempre più la sintonia con il resto del gruppo. Non servono più alibi, ma urge ritrovare identità e vittorie per scalare posizioni in classifica con lo sguardo rivolto verso l’obiettivo minimo.