Valeria Racconta

La vita delle ombre

di Valeria Cimmino


Avete mai pensato a quanto può esser triste la vita delle ombre? Io penso di no perché nessuno bada mai a noi. Ve ne state tutti lì a darci per scontate, senza mai ringraziarci di esservi costantemente fedeli; seguendovi passo dopo passo, attaccate sotto i vostri piedi. Dobbiamo andare dove voi volete, svegliarci quando voi dovete, mangiare quando e cosa voi preferite. Noi non possiamo nemmeno sceglierci gli amici, perché siamo costrette ad incontrare le ombre delle persone che voi preferite frequentare.

Anche in amore seguiamo le vostre scelte; voi vi innamorate e siete tutti presi dalle vostre passioni, dal vostro irrazionale protendervi verso un estraneo che vi prende il cuore e che poi col tempo conoscete e diventa il fulcro delle vostre vite, l’unica ragione del vostro essere. E noi? Noi subiamo passivamente i vostri amori …. Si è proprio così … anche noi impariamo ad amare l’ombra dell’amato o dell’amata del nostro proprietario. Non che a noi non capiti di incontrare altre ombre che ci facciano emozionare, ma a cosa servirebbe? Nella migliore delle ipotesi saranno ombre di amici dei nostri padroni che potremmo vedere con una certa regolarità, ma mai con costanza, e nella peggiore passanti incrociati una sola volta nella vita per puro caso, che mai più rivedremo.  E poi seppur ci innamorassimo dell’ombra del migliore amico del nostro proprietario non potremmo mai avere un contatto stretto che vada oltre un abbraccio fraterno od un bacio affettuoso su una guancia. E così noi ombre, che ci piaccia o no, per quieto vivere abbiamo scelto di imparare ad amare le ombre di chi il nostro padrone avesse deciso di amare.

Se poi ancora non vi rendete conto di quanto sia triste la vita di noi ombre, allora provate ad ascoltare la mia storia; perché come per voi anche per noi c’è chi è più fortunato e chi lo è meno. Basti pensare che ci sono ombre appartenenti a persone ricche che fanno tantissime esperienze, hanno la possibilità di provare un po’ tutto nella vita a differenza di chi aderisce ad una persona più umile e povera, poi ci sono le ombre di chi è una persona di successo e di chi non lo è, di chi ha molti amici e di chi non ne ha, di chi fa un lavoro piacevole e di chi lo fa faticoso, di chi è sano e di chi è invalido, di chi è bello e di chi è brutto.

Ma la mia è una storia davvero triste, una di quelle che proprio non te ne dai una ragione.

In tutto noi ombre siamo uguali ed indissolubilmente legate ai nostri proprietari, tranne che per una cosa: l’anima. Ebbene si … anche noi abbiamo un’anima, il pensiero, i sentimenti, chiamateli come preferite, ma “quella cosa” che ci fa sognare, riflettere, soffrire, gioire, odiare, amare, “quella cosa” che forma la nostra personalità, il nostro modo di essere, anche noi ombre l’abbiamo.

Io ho un’anima sensibile, tante volte avrei voluto piangere ed in effetti lo faccio però senza emettere lacrime o grida, piango dentro, rido dentro, gli unici momenti in cui posso cacciare lacrime o sorrisi veri è quando lo fa la mia padrona. Anche io come lei avevo sempre sognato il grande amore. Ero una sognatrice, chissà perché avevo la strampalata idea che quando un giorno Maia, la mia padrona, si fosse innamorata, anche io lo avrei fatto dell’ombra del suo amato e che sarebbe accaduto lo stesso per l’ombra di lui. Io speravo in un amore vero, non di circostanza, un vero colpo al cuore.

Maia era davvero bella, faceva cose interessanti nella vita, o almeno dal mio punto di vista di ombra. Avrebbe sicuramente incontrato un ragazzo piacente ed interessante, uno alla sua altezza. Le condizioni erano tutte favorevoli alle mie fantasiose congetture.

Ed ecco che finalmente Maia si innamorò.

Un giorno un ragazzo bussò alla porta di casa della mia proprietaria.

Fui io a vedere l’ombra di lui per primo poiché il prestante giovanotto dal bel viso,  venne a riportare a Maia il portafoglio che aveva smarrito; lui attendendola fuori la porta di casa, se ne stava alla luce di un tiepido e basso sole tardopomeridiano e la sua ombra si stagliava slanciatissima. Quando Maia aprì la porta restò in casa e l’ombra di lui non ebbe modo di vedermi. Maia, un po' per ringraziare il solerte giovanotto, un po' perché ne era rimasta affascinata, lo invitò il giorno successivo a bere un caffè. L’appuntamento fu fissato per l’indomani alle undici in punto in piazza, al centro dove c’era la fontana.

Capii subito dagli atteggiamenti frivoli di Maia e dai sorrisi stucchevoli di lui che fra di loro era scoccato un sentimento.

Purtroppo ahimè … non ebbi alcun colpo al cuore e rassegnata al comune destino di noi ombre mi dissi che semmai quei due si fossero davvero innamorati, almeno avrei avuto un compagno-ombra di aspetto più che gradevole e che sarebbe stato abbastanza facile indurmi al sentimento.

Il mattino dopo Maia si agghindò al meglio, non che ne avesse bisogno, ma devo ammettere che con quella gonnellina svolazzante, la camicetta sbuffata ed i capelli raccolti in una treccia laterale eravamo davvero irresistibili.

Tanta era l’ansia di Maia di far tardi che arrivò abbondantemente in anticipo.

Ce ne stavamo al centro della piazza oscurate dall’ombra della grande fontana. Il sole era alto in cielo. Maia era tutta presa dal fremito dell’attesa, io invece pensavo a quanto ancor più triste fosse la proiezione di quella fontana e di tutti i monumenti, palazzi, statue della terra. Dovevano sentirsi così sole,  sole  fra migliaia di altre ombre che occasionalmente ogni giorno si trovavano ad incontrare, senza poter tuttavia tessere alcun tipo di rapporto. Ombre solitarie, ombre destinate ad un’intera vita in isolamento, costrette a dover guardare quotidianamente sempre le stesse cose che avevano intorno. Chissà quanta curiosità avevano di esplorare il mondo ed invece per esse il mondo si riduceva ad i limitatissimi ambienti che avevano intorno.

Distratta dai miei pensieri quasi non mi accorsi che scoccate le ore undici, il giovane di bell’aspetto era, puntualissimo, apparso dinanzi a Maia.

Per noi ombre quello non era di certo l’orario propizio per un incontro, anzi era proprio quel momento della giornata in cui il sole è così alto ma non ancora a picco, da proiettarci talmente tozze e goffe da far sembrare bassa e tracagnotta perfino l’ombra della modella più longilinea ed elegante. Naturalmente questo noi ombre lo sappiamo bene, purtroppo ahimè l’ombra con cui avrei dovuto passare il resto della mia vita, se Maia ed il b

el giovanotto così avessero deciso, mi osservò con un tale sdegno e ribrezzo, che se solo avessi potuto, sarei fuggita via di corsa e avrei pianto e pianto per ore.

Che terribile disgrazia si era abbattuta su di me, proprio io che desideravo un vero, grande amore, proprio io che accettavo con tristezza e rammarico il triste destino di noi ombre costrette ad imparare ad amare per sempre l’ombra che ci capitava, ora sarei stata forzata a convivere con una che di amarmi proprio non voleva saperne. L’ombra di Jack (era questo il nome del bel giovane amato dalla mia padrona) si era definito uno da colpo di fulmine e siccome al nostro primo appuntamento non gli ero piaciuta, a nulla era servito poi riguardarmi snella e affusolata in altri momenti della giornata. Ormai ogni volta che mi scrutava, altro non vedeva che il ricordo dell’immagine del nostro primo incontro. Disse che avrebbe preferito vivere fugaci passioni emotive con ombre occasionali, piuttosto che amare me, e che ogni qualvolta saremmo stati costretti dai nostri proprietari ad un abbraccio o ad un bacio, ne avrebbe sofferto.

Mi sentivo triste come l’ombra di quella fontana. Avevo conosciuto nuovi sentimenti mai provati prima: il rifiuto, l’umiliazione. Ero terrorizzata dall’idea di vivere un’intera esistenza sola, con accanto un’ombra che mai mi avrebbe amato.

Un giorno me ne stavo a leggere un libro seduta ad una poltrona, un libro che per me non aveva alcun contenuto; vedevo Maia sorridere e poi aggrottare la fronte e poi di nuovo sorridere, stupirsi, intristirsi; per me erano solo pagine vuote da sfogliare, che avrei dato per sapere cosa era scritto su quelle pagine, per poter ridere anche io per davvero e non solo per riflesso. E così mentre ormai ero sempre più insofferente, mi balenò un pensiero ardito. C’era un solo momento nella vita di noi ombre in cui potevamo essere liberi: la notte quando i nostri padroni dormivano ed ogni luce era spenta. Tuttavia nessun’ombra aveva mai osato sfruttare quel tempo per essere libera di fare ciò che più desiderava; un po’ per il timore che il proprio padrone si svegliasse ed accendendo una luce si sarebbe ritrovato senza la sua ombra, un po’ perché certe cose autonomamente non sapevamo neanche farle: se mangiavamo, o correvamo, o piangevamo, ridevamo, era perché erano i nostri proprietari a farlo. Ero così disperata che sentii nascere pian piano in me una forza che si trasformò in coraggio. Mi dissi che se avessi osato, le cose sarebbero venute da sole. Promisi a me stessa e naturalmente lo feci anche per Maia che sarei stata fuori, libera per una sola notte, ma che in questa unica ed intensa notte avrei avuto tutto ciò che meritavo. Così quella sera stessa appena Maia andò a letto e spense ogni luce della sua stanza, io mi staccai da lei.

Ero libera, finalmente libera di fare quel che volevo; senza neanche sapere perché ero in grado di farlo iniziai a camminare e poi a saltellare ed infine a correre giù per le scale.  Aprii la maniglia della porta di casa della mia padrona ed uscii. Mi sentivo ancora più leggera del solito, per la prima volta nella mia vita percepivo gli odori, il vento, il freddo; era meraviglioso.

Era tarda notte eppure di tanto in tanto si vedeva gente che passava da un lato e l’altro della strada. Vedevo le loro ombre che dalla fioca luce dei lampioni si affusolava per metri seguendo passo dopo passo le persone a cui appartenevano. Sollevai l’avambraccio in segno di saluto. Non ottenni risposta, ovvio, mi dissi, per avere un saluto ricambiato, sarebbe occorso che il padrone dell’ombra a cui avevo destinato il cenno cordiale, avrebbe a sua volta sollevato il braccio per salutare. Eppure avevo avuto come la sensazione di non essere nemmeno avvistata dall’altra ombra, percezione che continuai ad avere ogni qualvolta incontravo un’ombra.

Giunsi dinanzi ad un locale notturno, uno di quelli in cui si balla fino all’alba. Non ero mai entrata in un posto del genere, Maia non amava frequentare questo genere di luoghi. Non avevo mai ballato, non ero mai rientrata all’alba e né mai ero stata in un ambiente così tanto affollato. L’effetto che le luci ad intermittenza ed in movimento davano a tutte quelle ombre era spettacolare. Ombre schizzate ovunque, sul soffitto, sulle pareti, senza sapere a chi appartenessero, ombre che apparivano e poi sparivano per poi ritornare. Tutto era un tale delirio. Cercavo di attirare l’attenzione delle altre ma invano, era come se non riuscissero a vedermi, eppure io ero lì. Mi allontanai dalla folla e cercai la proiezione della mia immagine. Non c’era. Non la vedevo da nessuna parte, eppure io ero lì. Io sapevo di essere lì in quel momento.

Ripiombai nella disperazione. Una nuova consapevolezza si fece largo nelle mie riflessioni. Senza Maia, la mia padrona, io non ero nulla. Esistevo, certo, ma altro non ero che un’entità invisibile, un pensiero senza immagine. Seppur avessi voluto venir meno alla promessa di star fuori una sola notte per assaporare il piacere della libertà e avessi deciso di abbandonare per sempre Maia, scappando alla ricerca del vero amore, non avrei potuto farlo perché senza di lei io ero un’anima invisibile.

Tornai dalla mia padrona, ancora una volta rassegnata al mio triste destino.

La vita di noi ombre era ancora più infelice di quanto avessi sempre creduto.

Maia e Jack si sposarono dopo otto lunghi anni di fidanzamento. Ebbero tre bambini: Clara, Adria e Lucas, la mia unica consolazione, almeno loro mi avevano accettato come madre. L’ombra di Jack aveva continuato a rifiutarsi di provare ad amarmi e così fu fino alla fine delle esistenze congiunte di Maia e Jack, che sopraggiunse con la morte di lui dopo ben sessantadue lunghissimi anni di matrimonio.

Avevate mai pensato a quanto triste fosse la vita delle ombre?

Stanca, affaticata e chinata dalla vecchiaia della mia proprietaria, mi sedetti esattamente come lei su una sedia a dondolo e guardai fuori dalla finestra. Una quercia secolare se ne stava lì nel prato, ben radicata con la sua ombra saldamente unita che coll’avanzare della giornata si spostava da un lato all’altro dell’albero. Da secoli quell’ombra non faceva altro che ruotare intorno alla sua quercia. Riguardai indietro la mia vita, triste ma piena, cercai una consolazione in quella consapevolezza. Non la trovai, così come non l’avrebbe trovata l’ombra dell’uomo più felice al mondo … e sapete perché? Perché quella non era la sua felicità, ma del suo padrone, e questa pienezza che avevo vissuto non era la mia, ma quella di Maia.

Ebbene si …. la vita di tutte le ombre è davvero triste.


martedì 1 dicembre 2015 - 15:21 | © RIPRODUZIONE RISERVATA

 



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