Dalle pagine dell’ultima inchiesta della Dda sul clan D’Alessandro affiora una vicenda che fotografa con chiarezza il peso economico e psicologico esercitato dalla criminalità organizzata su chi entra nel suo raggio d’azione. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, un imprenditore stabiese del settore abbigliamento, agli inizi della sua attività , avrebbe chiesto un prestito di 30mila euro alla fazione di Scanzano. Una scelta probabilmente dettata dalla difficoltà di ottenere credito attraverso i canali ordinari.
Da quel momento il debito, stando alle intercettazioni e alle testimonianze raccolte, sarebbe lievitato fino a circa 180mila euro, con versamenti mensili che per quasi dieci anni avrebbero raggiunto quota 1.500 euro. Una pressione costante che, secondo gli atti, avrebbe portato lâ
€™imprenditore a rivolgersi direttamente a una figura di primo piano del clan D'Alessandro, descritta come un possibile mediatore tra gli esattori della cosca.
Non è chiaro come si sia conclusa la vicenda, ma le carte riportano che, poco dopo, l’uomo sarebbe stato coinvolto in un’ulteriore richiesta estorsiva. Un dettaglio che, nel quadro complessivo dell’inchiesta, contribuisce a delineare il controllo capillare esercitato dal clan sulle attività economiche cittadine e le conseguenze, spesso durissime, che possono derivare da un singolo passo compiuto in un momento di difficoltà .
La storia, pur nella sua sintesi, mostra come il legame con circuiti criminali possa trasformarsi in un vincolo duraturo, capace di incidere profondamente sulla vita professionale e personale delle vittime.