IL BOSS FONDATORE DELLA COSCA DI SANTA MARIA LA CARITÀ HA OTTENUTO LA SOSTITUZIONE DELLA MISURA CAUTELARE.
Scarcerato e collaboratore di giustizia, Antonio Esposito. Il boss fondatore dell'omonima cosca nata con il beneplacito del clan D'Alessandro di Castellammare di Stabia, e con la propria base operativa nelle cittadine dei Monti Lattari, ha ottenuto la scarcerazione. La sostituzione della misura cautelare con quella degli arresti domiciliari in una località protetta, gli ha permesso di lasciare le mura del carcere. Ad un anno e mezzo dall'inizio della sua collaborazione con la giustizia, “Tonino ’o biondo” comincia a godere dei primi benefici spettanti ai collaboratori di giustizia. Dopo i sei mesi in cui ha reso dichiarazioni utili alle indagini della Dda partenopea, Esposito ha scontato altri mesi detenuto in un carcere di massima sicurezza prima di ottenere la sostituzione della misura cautelare. Con le sue dichiarazioni accusatorie nei confronti degli affiliati alla sua ex cosca, Esposito ha contribuito all'affermazione della responsabilità penale di diversi componenti del clan. Le sue rivelazioni sono state utilizzate come elemento di prova nel corso del processo che lo ha visto coinvolto insieme ad altri dieci presunti affiliati. Il risultato sono stati un totale di sessantuno anni di carcere e due assoluzioni nel processo di primo grado svoltosi con rito abbreviato. In quella occasione vennero condannati altri personaggi di spicco del clan come Ferdinando Gargiulo, Ernesto Montagna e Antonio Somma ad otto anni di carcere, e due anni in meno ad Er
nesto Samà e Vincenzo Bisaccia. Lo stesso Esposito è stato condannato in quel processo a sei anni di reclusione e, oltre a godere come tutti gli imputati di uno sconto di un terzo della pena finale per la scelta di essere giudicati con un rito alternativo, ha anche goduto delle circostanze atteuuanti riservate ai collaboratori di giustizia. Il suo contributo non si è, però, esaurito nel corso del processo al clan ma le sue dichiarazioni hanno avuto un peso importante anche nel corso di altri processi per reati scopo commessi da alcuni affiliati. È il caso del processo per l'estorsione ai danni di Francesco Longobardi, il vivicoltore di Santa Maria la Carità vessato dalle richieste e dalle minacce del clan, conclusosi con la condanna di Somma, oltre che dell'ex assessore comunale Salvatore Cannavacciuolo e di Giuseppe Sicignano. La sua testimonianza sarà, inoltre, fondamentale per definire i ruoli anche di un'altra vicenda processuale: quella dell'estorsioni e usura perpetrati ai danni di un imprenditore edile di Sant'Antonio Abate in cui lo stesso Esposito è coinvolto come imputato. Proprio nell'ultima udienza di quel processo la seconda sezione penale del tribunale di Torre Annunziata ha dovuto prendere atto della variazione della misura cautelare e comunque la sua presenza sarà garantita tramite servizio di videoconferenza da un sito riservato almeno che non decida di rinunciare a presenziare alle prossime udienze.