Da quanti anni la statua di san Catello è portata in processione? La data non la conosciamo, ma sappiamo solo che qualche statua del Santo, prima del Seicento, era già presente, soprattutto a Sorrento dove esisteva nel Cinquecento anche una chiesa dedicata al Santo e demolita nel 1800 per costruzione della nuova strada al centro del paese.
Gli autori che hanno trattato di Castellammare e della sua storia, poco hanno potuto dire sulla statua e sulle prime processioni. Un accenno lo troviamo nella vita manoscritta di S. Catello, ove si legge «Si conduce per le strade più principali la statua del medesimo santo di legno dorato». Scopriamo così l'unica data certa, cioè: che la statua si portava già in processione nel 1623, anno in cui il P. Alvino scriveva la vita succitata. Anche mons. Sarnelli nella breve vita di san Catello (1887), chiama la statua «lavoro pregevole del cinquecento» cercando di intuire la cosa solo col suo senso artistico.
Sull'epoca in cui visse san Catello, come abbiamo avuto già modo di dire ma che volentieri ripetiamo, esistono molte ipotesi non suffragate, ovviamente, da congrue documentazioni.
Il nome di san Catello, patrono di Castellammare di Stabia, è citato per la prima volta in un "manoscritto" (non originale !) del cosiddetto Anonimo Sorrentino, un monaco vissuto, secondo i più, verso l'XI secolo o dopo.
Tale manoscritto è stato pubblicato, come già accennato in passato, dal Padre teatino, Antonio Caracciolo (S. Antonini coenobii Agrippinensis apud Surrentum quodam abbatis Vita ab anonimo auctore", Napoli, 1626).
Gli studiosi, agiografi e semplici appassionati di tradizioni e storia, si sono divisi pressappoco in due schiere; un gruppo, di cui fanno parte autori di enciclopedie e pubblicazioni di carattere storico-scientifico-religioso, che ha condotto a livello nazionale ricerche direttamente su codici antichi custoditi sia negli archivi apostolici, sia in raccolte documentali di conventi, abbazie e monasteri soprattutto benedettini, trattando le vicende di Castellammare di Stabia, colloca san Catello al IX-XI secolo o dopo.
Di tale gruppo fanno parte, tra gli altri Agostino Amore (Bibliotheca Sanctorum), Acta Sanctorum Februarii, Agrain, Lanzoni, Martirologium Romanorum, Mallardo, Baudot, Chaussin, Capaccio, Caracciolo, Della Noce, Ughelli, Mabillon, Muratori, i vescovi Milante, Sarnelli.
Meritano riguardo per l'impegno profuso nell'illustrare la figura del santo Patrono, molti studiosi ritenuti locali che assegnano l'episcopato di san Catello al VI - VII secolo, e particolarmente monsignor Francesco Di Capua, benemerito prelato e insigne latinista; Giovanni Celoro Parascandolo, che si dedicò per decenni alla ricerca di documenti su san Catello; Giuseppe D'Angelo, autore di una pubblicazione sul Santo scritta insieme con Angelo Acampora.
Molti altri cultori di storia locale, seguono quest'ultimo filone di autori. Ma, come diciamo sempre, vanno rispettate tutte le opinioni, tanto più, che fino ad oggi, nulla di nuovo è stato aggiunto a quanto detto e scritto dal 1600 in poi, perché nessun documento nuovo è stato trovato.
La collocazione al VI secolo dell'episcopato di san Catello, veneratissimo Patrono di Castellammare di Stabia, sostenuta oltre ogni ragionevole considerazione da mons. Francesco Di Capua con il suo libro „S. Catello e i suoi tempi" edito nel 1932, è risolta, secondo noi e come diciamo da moltissimi anni, dalle affermazioni stesse sottolineate dall'erudito Autore. Infatti, mons. Di Capua, dice, tra l'altro, che la fonte dalla quale attinge 1'Anonimo, é la tradizione popolare. Secondo il Caracciolo, analizzando scrupolosamente gli antichi documenti, S. Antonino e S. Catello, sarebbero vissuti nel IX secolo in quanto l'Anonimo, tra l'altro, così scrisse: "Quo tempore Longobardorum ferina immanitas Campaniae provinciam hostili gladio et incendio vastavit, sanctus iste noster patronus Antoninus ad has partes advenisse et episcopo Stabiensis Ecclesiae dicitur adhaesisse... ". Monsignor Francesco Di Capua, esperto latinista, così traduce: "Si dice che nel tempo, in cui la feroce crudeltà dei Longobardi ostilmente devastò col ferro e col fuoco la provincia della Campania, il nostro santo protettore Antonino sia venuto in queste parti e si sia rifugiato presso il vescovo della chiesa di Stabia (S. Catello)". Poi l'Anonimo Sorrentino dopo aver parlato della vita del Santo, aggiunge: "Post decessum Beati Antonini non multo tempore evoluto (sic), Princeps Beneventanus, Sicardus, caeteris finibus suae ditioni subjugatis, in terram etiam Syrrentinorum eadem intentione invasit... ", cioé: "dopo la morte del Beato Antonino, scorso non molto tempo, Sicardo Principe Beneventano, soggiogati gli altri confini al suo dominio, invase anche con la medesima intenzione la terra Sorrentina...". Sicardo, personaggio storico, citato in tutti gli elenchi dei principi beneventani, assalì Sorrento nell'835. Questa è la storia, anche se mons. Di Capua definiva „ignoranti" quelli che non condividevano le sue tesi basate su presunte corrette interpretazioni di testi.
Peccato che, soprattutto, molti sacerdoti e monaci dei nostri giorni, che conoscono bene il latino, vogliono limitarsi a ripetere tesi che ormai risultano infondate.
Interpretazione più accreditata del manoscritto.
Era passato, dunque, non molto tempo dalla morte di S. Antonino, se dobbiamo credere a quanto scritto dall'Anonimo (forse un anno, cinque, dieci..., non lo sappiamo), quando il truculento principe Sicardo (832 - 839), invase anche Sorrento spargendo sangue e disperazione. Questi sono gli elementi che emergono dal manoscritto con reali riscontri storici. Il resto? Sono tutte illazioni e chiacchiere!
Infatti, sempre il Di Capua dice che l'Anonimo, dopo aver narrato la vita del Santo, aggiunge: „post decessum B. Antonino non multo tempore evoluto Princeps Bneventanus Sicardus... donde parrebbe che l'assedio, posto a Sorrento da Sicardo (835), fosse avvenuto poco dopo la morte del Santo. Ma, per uno scrittore che attinge alla tradizione - aggiunge sempre il Di Capua - quelle parole possono significare sia pochi anni sia due secoli...del resto fu dimostrato che debbono riferirsi non alla morte di Antonino, ma all'età in cui viveva l'Anonimo...". Quindi, S. Antonino secondo la corrente di studiosi che ha maggiore credito, sarebbe morto il 14 febbraio dell'830, naturalmente prima del racconto dell'Anonimo. Come si può notare, non cambiano le cose e i riscontri storici rimangono inoppugnabili.
Le affermazioni del Di Capua, sono da considerarsi certamente frutto di irrazionale paesanismo e, altrimenti, su questo punto sarebbe opportuno chiedere il parere, come abbiamo fatto noi, a chi sa interpretare il latino altrettanto bene senza lasciarsi prendere la mano da facili entusiasmi.
Trattando ancora questo argomento, riteniamo utile sottolineare l'importanza che assume l'ultima pubblicazione su San Catello, dell'Università di Bari ad opera della professoressa Ada Campione, la quale in uno studio approfondito, valutazione dei fatti cronologicamente espressi, e sulla base dei diversi elementi storici evidenziati tra la vita dei due Santi, rispetto alle acquisizioni della critica storica, aggiunge,"mi pare di poter posticip
are di oltre un secolo la datazione dell'opera dell'Anonimo, collocandola nell'XI secolo, un'epoca che vede il rilancio di Sorrento a livello sia politico-istituzionale sia religioso. Molto "...probabilmente anche l'Anonimo autore della vita, contrariamente a quanto finora ritenuto dalla critica, non era originario di Sorrento...La sua conoscenza dei classici, della Bibbia e della patristica, sicuramente più approfondita di quanto sinora evidenziato, hanno indotto Di Capua a collocarlo in ambiente monastico benedettino; accanto a questi motivi, per parte mia, ho evidenziato i frequenti richiami alla gerarchia e il rispetto dell'Anonimo per essa; di qui la mia propensione a vedere in lui un vescovo-monaco, cioè un esponente di quell'episcopato di formazione monastica, soprattutto benedettina, che proprio nell'XI secolo svolse un ruolo di particolare importanza nell'Italia meridionale...".
Ritornando alla statua di san Catello, molte notizie le apprendiamo dalle Lettere di Pompeo Calvatta che mantenne i contatti tra Comune, curia e lo scultore.
Dalle lettere del Calvetta, appunto, si nota un elenco di spese fatte dal 1604 fino, sembra, al 1606, senza precisare l'anno, e, si legge: «Al Mro (maestro) della statua de S.to Catiello in conto de qlla (quella) et per elem (elemosina) fatta p. (per) ord. (ordine) de Monsignor Vescovo per causa della exatt. (esazione) fatta dalla Gabella della farina senza R. (Regio) assenso D.i (ducati) dudici come p. (per) lista, fol. 140 non obstante che lo m.o (mandato) sia de D.i 35, fol. 359 atteso non ne ha dispeso più poichè l'altri denari a compl. (compimento) de d. (detta) statua li ha pagato Cesare Coppola Sin.o (sindaco)». In margine si legge «prendration de statua». Da questo documento apprendiamo che verso il 1606 il Vescovo, che in quell'epoca era mons. Ippolito Riva, ordina al Municipio, o come si diceva allora, alla Università, che traeva danaro da una gabella posta sulla farina, di contribuire alle spese per la statua di S. Catello. L'Università fa un mandato per 35 ducati per compimento della sua contribuzione alle spese, ma non ne paga che solo 12, perché il resto viene pagato dal Sindaco.
In ordine cronologico seguono a questo documento alcune lettere scritte dall'eletto Pompeo Calvetta, da Napoli al Sindaco di Castellammare. In una di esse, in data 15 Gennaio 1609, fra le altre cose leggiamo: «Io spero essere lloco sabato et porterò la pne (provisione) et S.to Catiello et lo m. (maestro) de inaurare e ragionerò a bocca e lo presente si have pigliato molto accaro e a ciò però qnt (quando) la cita have de bisogno e sarò busciardo a tutti con gra (grazia) de Dio bento (benedetto) e la verità anderà sempre sovra: et alfine bascio le mani a tutti s.ndoli (salutandoli) da Neap. a di 15 de Gen.ro 1609...». In una nota che segue aggiunge «dico alle S. V. tanto per la pne quto per la venuta de S.to Catiello... bisognano denari, restano servite mandarne sabato matino...».
La lettera non ha bisogno di commento. Il Calvetta stava a Napoli per ottenere una provisione, ossia un decreto, per far togliere una tassa di tre carlini a fuoco che gravava sulla città, e nello stesso tempo per sbrigare gli affari concernenti la nuova statua di San Catello. Il tono enfatico della fine della lettera si riferisce ad accuse di peculato che gli erano state rivolte e che poi furono rifiutate. Intanto, il giorno dopo, il nostro bravo eletto, non avendo potuto lasciare la capitale, perché l'affare della provisione non era ancora sbrigato, piglia la statua e la manda a Castellammare, accompagnata da una lettera in data del 16 Gennaio, la quale dice «Mando S.to Catiello con la psna (persona) che vole inaurare detto s. (santo) non manchino farli carezze et lloco posseti fare il patto si è vista la statua dal Sre (Signor). Fabritio pittore et have detto che se li diano complimento de D.i vinte et io ho fatto con tante belle parole che ne ho mancatl docati dui tal che p. (per) la statua se le devono pagare D.i 14 e quatro ne ha havuto da Stefano Serpito che fano la somma de D.i 18...». Il seguito della lettera ci fa capire che lo scultore, che si chiamava Giovanni Battista, voleva il suo danaro, che il Calvetta chiede all'Università.
Questa lettera, oltre a precisare il giorno in cui la statua arrivò fra noi, ci dice che il Signor Fabrizio, pittore, avendo vista la statua aveva detto che si poteva pagare. Questo pittore è certo il celebre Fabrizio Santafede (1560-1634), emulo del Ribera, artista sommo, erudito antiquario, conosciuto e rispettato da tutta Napoli (sic).
A questo punto la lettera diventa veramente importante per due note marginali di mano posteriore, di cui una dice «Statua, la testa era antica»; e l'altra Statua vecchia di S. Catello fatta nell'anno 1609... Però senza la testa, perché si pigliò quella della statua vecchia». Il carattere, col quale sono scritte queste due note, secondo monsignor Genesio Turcio che scrisse una nota nel 1910, le fa attribuire al notaio Vincenzo Aiello juniore, il quale di sua mano trascrisse e notò parecchi documenti del nostro Archivio Municipale. Le due note in questo caso rimonterebbero alla metà del Settecento). Dalla lettura di questi documenti, riepilogati, è possibile ricostruire la storia della statua (è da notare, inoltre, il curioso linguaggio dell'epoca, misto di dialetto, «povero di ortografia e punteggiatura»).
Cerchiamo, ora, qualche indizio di chiarezza. Nei primi anni del 1600 esisteva nel nostro duomo una statua di san Catello che il notaio Aiello chiama "vecchia" e che secondo la tradizione doveva essere molto più piccola e forse a mezzo busto. La statua, dalle notizie raccolte dal Turcio, era probabilmente copia di un'opera più antica di stile greco-bizantino. Comunque, copia e ricopia, restauro dopo restauro, non sempre semplicemente conservativo ma a volte anche con alterazione di caratteri peculiari originari, la statua che vediamo oggi, e che io ne ho seguito il restauro del 1982-83, è di un sol pezzo e certamente non vi si poteva adattare la testa di una statua più piccola. D'altro canto, ho avanzato dei miei dubbi in varie occasioni. Resta fermo che la testa e l'insieme scultoreo è tipico del Seicento opera di un artista vissuto nella seconda metà del 1500 e se vi si notano elementi liturgici più antichi possono essere stati rilevati effettivamente sta statue o pitture di precedenti anni.
Poi, ancora un'altra considerazione: Quale statua di san Catello veniva portata in processione prima del 1609? E, poi, ancora: la statua che vediamo oggi in cattedrale è veramente quella portata qui nel 1609? Non dimentichiamo, inoltre, che nei secoli passati di statue di san Catello ne esistevano molte e alcune finirono anche nelle case di emigranti stabiani in America e in altre parti d'Italia.
Comunque sia, oggi, come nei tempi passati, la sontuosa statua di san Catello, vestita con i sacri paramenti vescovili, viene issata su di una bella pedana processionale di legno, artisticamente intagliata di stile barocco, rivestita di lamine di oro e portata a spalla per le vie cittadine da una carovana composta da sessanta persone, scelte tra scaricatori portuali, scaricatori delle ferrovie, ambulanti e fedeli.
Oggi, quando veneriamo il Santo, così come nel passato, dopo tante chiacchiere inutili, non dobbiamo domandarci né chi era, né l'epoca in cui visse, sappiamo che è stato un nostro Pastore, la cui venerazione si è rinsaldata nel tempo.
E ciò, indipendentemente dalla sua rappresentazione iconografica.