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''L'uomo flessibile - Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale'', saggio di R. Sennett

di Roberta Ferraris


   Immagine di repertorio

Il prof. Sennett, insegnante sociologia alla London School of Economics e alla New York University, all'alba del nuovo millennio pubblica "The corrosion of caracter", che in italiano viene però reso meno impattante traducendolo come "L'uomo flessibile- le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale"
Analizzando le vite di Rico, di Rose, e dei fornai di un'inpertecnologica panetteria di Boston, s'evince l'elemento comune per tutti: in meno di una generazione (da quella dei nostri padri alla nostra) c'è stato un drastico cambiamento dello scenario lavorativo contemporaneo, accompagnato dalla nascita di nuove parole: "mobilità","rischio", "capitalismo flessibile" (flexible capitalism). I nostri genitori fino alla pensione hanno svolto un lavoro "lineare" ove raramente un giorno era diverso dall'altro e ciò permetteva una vita predicibile, ma non semplice.
Il capitalismo flessibile è invece un nuovo sistema, non una variazione sul classico modello capitalista: oggi ai lavoratori si chiede di essere aperti al cambiamento, correre rischi, comportarsi con maggiore versatilità; ma ciò modifica il significato stesso del lavoro: ad esempio l' etimologia di "carriera" (in inglese carreer) rimanda a "strada per carri", cioè un percorso lineare da seguire per tutto il periodo lavorativo; ma ora con i "contratti a progetto" il capitalismo flessibile fa spostare all'improvviso i lavoratori dipendenti da un incarico all'altro, cancellando la linearità delle carriere e riportando in auge il significato arcaico della parola "job": "pezzo" o "blocco" che può essere spostato da una parte all'altra.
Il primo risultato è che la flessibilità generi ansietà: domande come "quale rischio correre?" "che percorso lavorativo seguire?" oggi affollano la mente dei lavora

tori.
Alcuni sostengono che la flessibilità dia agli individui più controllo sul proprio destino. Ma il risvolto della flessibilità che genera più confusione è l'impatto sul "Character", nel testo originale intesa più come "personalità" che come "carattere" propriamente detto; come si fa a perseguire obiettivi a lungo termine in un economia che ruota sul breve periodo?
Le parole "stabilità", "fedeltà all'azienda" ,"fiducia", punti di forza del vecchio capitalismo, non hanno più senso, perché per svilupparsi hanno bisogno di molto tempo; perciò, l'economia si fa più rapida e dinamica, la burocrazia si riduce ma finisce l'assistenzialismo e la vita personale ne risente.
Oggi s'avvicenda freneticamente personale sempre nuovo (tirocinanti, stagisti, lavoratori a progetto), sempre nuove innovazioni, incertezza, ma le forme di potere e controllo e le disuguaglianze nell'opportunità restano. Ciò fa sentire i lavoratori incapaci di rispondere alle nuove sfide, minando alle radici la percezione dell'esistenza e della tradizione. C'è una progressiva corrosione del carattere, perché le caratteristiche di stabilità, durata e permanenza tipiche del carattere erodono progressivamente l'integrità dell'io più profondo: c'è quindi la sensazione di non essere indispensabili, organizzando così l'assenza di fiducia, avallato dal sistema che ristruttura le aziende ma mantiene i dipendenti sul "chi vive"; e quindi le cifre tipiche del carattere (stabilità, durata e permanenza) contrasta la dinamicità, frammentarietà e mutevolezza del capitalismo flessibile.
Ma tale flessibilità non può offrire nessuna guida etica per una vita normale.


lunedì 17 ottobre 2011 - 0.00 | © RIPRODUZIONE RISERVATA

 



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