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Lo Juventus Stadium capolavoro italiano, nel Belpaese gli altri stadi sono lontani anni luce dal concept marketing oriented

Apparati burocratici eccessivamente penalizzanti ed una concezione di impiego ferma ai primi anni '90 pongono l'Italia dietro alle potenze europee, Inghilterra su tutte

di Gioacchino Roberto Di Maio


   Lo Juventus Stadium (Foto Google)

Negli ultimi anni lo stadio sta modificando la propria funzione storica e si sta trasformando in una struttura atta ad appagare differenti bisogni ricoprendo di fatto un ruolo determinante nella politica dei ricavi dei club calcistici. Il management di uno stadio, considerato come elemento marketing oriented, colloca al centro dei suoi interessi la persona, in particolare lo spettatore-cliente. Si interagisce con diversi soggetti, tra cui le aziende ed i media attirati dallo stesso target di clientela. È basilare per il management la pianificazione e il perseguimento di quattro categorie di obiettivi: economici, sociali, ambientali, fisici. Solo con un mix di tali componenti lo stadio potrà sviluppare in modo efficiente il suo potenziale verso la totalità delle platee di riferimento. Gli obiettivi economici riguardano principalmente gli investimenti necessari per garantirne lo sfruttamento in aggiunta a quelli utilizzati per concepirlo e per realizzarlo. Bisogna lavorare dunque sui servizi, perché il traguardo ultimo riguarda la generazione di interesse e la soddisfazione dei clienti (sia aziende che semplici spettatori) che creeranno ricavi. Per gli obiettivi sociali, è un dato di fatto che durante i grandi avvenimenti sportivi internazionali come i Mondiali, gli Europei e la finale di Champions League, la stragrande maggioranza degli spettatori non può essere presente all’interno dell’impianto. Di conseguenza, quando si effettua la progettazione è importante ricordare che ci si rivolge a due categorie di pubblico: colori i quali assistono dal vivo all’evento e quanti lo seguono soprattutto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione. Un esempio significativo è quello del Bayern Monaco. Il club tedesco, che gioca all’Allianz Arena, ha messo a punto un format speciale per la cartellonistica a bordo campo dando risalto alle partnership con il suo pool di sponsor. Un team di registi televisivi, inoltre, ha esaminato la rotazione dei marchi e l’angolazione delle riprese. Il rettangolo di gioco è stato così trasformato in un’arena nella quale lo spettacolo è rappresentato dall’incontro di calcio. La visibilità delle insegne dura tra i 40 ed i 120 secondi valorizzando al massimo la zona delle porte o dei calci d’angolo senza dimenticare l’utilizzo sempre più esteso dei banner pubblicitari tridimensionali. Riguardo gli obiettivi ambientali, la decisione di collocare un impianto all’interno di un contesto adeguato crea visibili vantaggi dal punto di vista economico e territoriale. Raggiungere gli obiettivi fisici, invece, vuol dire incrementare il livello di comfort degli spettatori soprattutto attraverso degli interventi di tipo tecnologico, tra cui l’installazione di postazioni telefoniche multifunzionali e di servizi per il controllo del flusso di persone, la dotazione di sedili ergonomici, la semplicità dei pagamenti al suo interno, l’offerta di servizi differenti ed utilizzabili dalla globalità delle fasce di pubblico. Fattori critici per un’amministrazione corretta e bilanciata di un impianto sono anche i costi di gestione, tanto importanti da poterne determinare il successo economico e gestionale o il fallimento. Al giorno d’oggi la sfida è arrivare ad un impianto innovativo ed efficiente riuscendo a contenere i costi; la previsione, il controllo ed il governo di queste voci sono essenziali per mantenerlo in vita anche nel futuro ed è basilare che l’analisi di marketing prenda tutti gli aspetti in considerazione per determinare la gestione più adeguata e coerente con gli obiettivi prestabiliti. L’intenzione odierna è di rendere la struttura un’area aperta e visitabile in maniera stabile durante tutto il corso della settimana. La sua gestione necessita principalmente di due attività: la conduzione e l’organizzazione. La prima include il facility management, cioè l’insieme di tutte quelle attività indirizzate a conservare in ottime condizioni l’impianto, a mantenerlo appetibile dal punto di vista del marketing e a offrire servizi di sostegno per l’organizzazione degli avvenimenti. La capacità di pianificare in maniera ottimale l’attività di marketing, di porre in essere obiettivi perseguibili, di integrare tra di loro le attività, permette di dar vita ad un circolo virtuoso in grado di portare ad un esito positivo nella gestione dello stadio. Lo sviluppo tecnologico in tal contesto ricopre un ruolo integrante. La realizzazione delle piattaforme pay-tv e del digitale terrestre ed il successivo notevole accrescimento dei diritti Tv pagati alle società hanno condizionato in misura considerevole la struttura e l’utilizzo degli impianti. Le necessità delle emittenti televisive, in particolare, implicheranno sempre più la progettazione e la realizzazione di stadi più piccoli e con le tribune il più possibile vicine al campo da gioco. La tecnologia applicata ad un impianto implica anche l’incremento della soddisfazione sia dei frequentatori abituali che di quelli occasionali, poiché viene percepito come più vicino al cliente e adatto ad appagare i suoi bisogni e le sue aspettative. È un fattore essenziale, inoltre, per poter sviluppare politiche di co-marketing e attività di public relations nei confronti dei partner, degli sponsor, delle aziende e degli investitori, permettendo di installare sale per conferenze, per meeting, per promozioni e per ricevimenti, oltre a delle hospitality box e suite all’avanguardia, efficienti ed equipaggiate dei più moderni comfort.
Nell’ottica di una corretta gestione economica di uno stadio, ha notevole importanza il co-marketing, ovvero il processo mediante il quale due o più operatori, privati o pubblici, svolgono in partnership una serie d'iniziative di marketing al fine di raggiungere obiettivi di marketing attraverso la soddisfazione dei consumatori. Alla base di questo approccio vi è la presa di coscienza che la ricerca costante del miglioramento e della soddisfazione del cliente possono essere conseguite solo in parte se si agisce da soli. In un mercato sempre più competitivo la singola organizzazione trova difficoltà a raggiungere in maniera isolata il proprio target di riferimento. L’instaurazione e lo sviluppo di relazioni di cooperazione richiede dei processi di adeguamento vicendevole, di coordinamento e di condivisione, che permettono l’interazione delle risorse e delle attività degli attori coinvolti, dei processi di apprendimento reciproco, nonché di un avvicinamento culturale tra le parti anche se è fondamentale che le diversità siano preservate e rispettate.
Tra i fattori di successo di un’iniziativa di co-marketing vi sono il livello di organizzazione dello sponsee, la disponibilità di una struttura organizzativa dedicata, la conoscenza delle problematiche organizzative e la compatibilità di traguardi tra lo sponsor e lo sponsee. Nel caso di uno stadio di calcio, quindi, i soggetti che possono venir coinvolti in un’attività di co-marketing fanno parte di categorie parecchio eterogenee tra loro: società sportive, enti pubblici, comunità locali, spettatori, sponsor tecnici e commerciali, atleti, media ed imprese. Questo implica anche una varietà di relazioni contrattuali. Nell’attività di sponsorship, ad esempio, le tipologie contrattuali più importanti sono la sponsorizzazione tecnica, di club, dei singoli e degli eventi. Tutti questi accordi sono sviluppati come bilaterali: il soggetto sponsorizzato si impegna a diffondere il brand ed in maniera indiretta i prodotti ad esso connessi fino al punto di cambiare la propria denominazione come nei casi di cessione dei naming rights degli stadi. Tra gli strumenti a disposizione dello sport marketing è proprio il venue sponsor quello che sta attualmente osservando un trend di crescita di tipo esponenziale. Soprattutto nell’ultimo lustro un numero crescente di imprese ha deciso di approdare nell’industria sportiva acquisendo i naming rights degli stadi. Le motivazioni che portano alla scelta di sponsorizzare un’infrastruttura sportiva sono essenzialmente due: la più rilevante brand exposure ed il minor rischio di feedback negativi in termini di immagine. Fare da sponsor ad un impianto vuol dire essere al centro dell’attenzione anche quando l’attività agonistica è ferma e poter raggiungere anche target group differenti da quelli che ci si è prefissati; inoltre è particolarmente basso il rischio del venue sponsor, fattore molto importante poiché ogni operazione fondata sulla transfer image vede nel pericolo di danneggiamento della propria immagine il maggior nemico per la riuscita dell’accordo. L’opzione venue sponsor sembra, pertanto, la risposta più adeguata per quelle imprese che hanno come obiettivo un ampio target group poiché non prestabiliscono specifiche finalità di definizione valoriale della propria marca al di là della logica prioritaria di aumento della brand awareness. Un altro elemento non secondario, alla luce delle cifre che caratterizzano tali operazioni, riguarda la capacità di queste aziende di investire in maniera cospicua in questo campo. In Premier League soltanto 5 squadre delle 20 partecipanti (il 20%) hanno venduto i diritti del nome del proprio impianto: Arsenal (Emirates Stadium), Hull City (Kingston Communications), Stoke City (Britannia Stadium), Manchester City (Etihad Stadium) ed il Leicester City del miracoloso scudetto targato Claudio Ranieri (King Power Stadium). La compagine londinese dei Gunners, in particolare, esibisce Fly Emirates sia come jersey sponsor che come venue sponsor (investimento globale di circa 150 milioni di euro in 15 anni), mentre ha di recente assegnato alla tedesca Puma, dopo anni di fedeltà alla statunitense Nike, la fornitura tecnica. L’accordo è entrato concretamente in vigore in data 1 luglio 2014. L’Emirates Stadium, che ospita i match casalinghi del club londinese, è costato circa 573 milioni di euro, 150 dei quali sono stati versati dalla compagnia aerea di Dubai, la Fly Emirates, che ha acquistato i naming rights dell’impianto, altrimenti noto come Ashburton Grove, sino al 2028. L’accordo, inizialmente in scadenza nel 2016, è stato rinnovato nel novembre 2012. Nelle casse dei “Gunners” sono così finiti altri 185 milioni di euro per un’intesa che terminerà nel 2019 per quanto concerne il club, nel 2028 per quel che riguarda lo sfruttamento dello stadio. Allo scopo di sovvenzionarne la costruzione, la società inglese, che non ha avuto possibilità di accedere a prestiti pubblici, ha seguito differenti direttrici: in primis ha eretto in sostituzione del vecchio impianto 2mila appartamenti dalla cui vendita ha ottenuto un sostanzioso guadagno. Ha ricavato, inoltre, 22 milioni da alcune operazioni commerciali, tra cui l’accordo ventennale con Delaware North (azienda del settore catering) ed una serie di sponsorship. Un caso destinato a far storia è quello del Newcastle, società che nell’annata 2011/2012 aveva ribattezzato il proprio stadio in Sports Direct Arena. I tifosi hanno palesato a gran voce il proprio malcontento tanto da convincere il club e lo sponsor Wonga a tornare nell’autunno 2012 al tradizionale St James’ Park in quanto la cessione dei diritti sulla struttura aveva sottratto allo stadio il leggendario fascino garantito dalla storia.
L’Italia, al contrario, è abbastanza al di fuori di questo segmento di marketing sportivo. Nel nostro Paese solo il Sassuolo affianca al nome di stadio Città del Tricolore di Reggio Emilia quello di Mapei Stadium in virtù della munifica sponsorizzazione dell’azienda operante nel settore della produzione di materiali chimici per l’edilizia, già jersey sponsor degli emiliani. L’impianto, conosciuto un tempo come Giglio, non è tuttavia di proprietà del Sassuolo che, pur avendolo ottenuto semplicemente in affitto, ha operato nel 2012 a proprie spese i primi lavori di riammodernamento per poter lì disputare le proprie partite casalinghe. Nel dicembre 2013 ad acquistare la struttura è stata poi la stessa Mapei che si è fatta carico dell’investimento necessario per l’omologazione e il rilancio dell’area da oltre un decennio abbandonata a se stessa. La capienza dello stadio è così stata portata sino a 23.717 posti. L’ex Giglio vanta tra l’altro il primato di esser stato il primo stadio in Italia di proprietà di una squadra di calcio, ovvero quella Reggiana precipitata in Lega Pro e da oltre una decade lontana dal grande calcio. L’inaugurazione della struttura coincise nell’aprile 1995 con la sfida tra gli emiliani e la Juventus, una sorta di passaggio di consegne dato che per registrare un secondo caso in tal materia si è dovuto attendere proprio l’investimento dei bianconeri nell’ultramoderno Juventus Stadium, inaugurato l’8 settembre 2011. Grazie all’intesa raggiunta con Sportfive, società specializzata nel marketing sportivo appartenente al Gruppo Lagardère, il club incasserà 75 milioni di euro per 12 anni: 6.5 all’anno a partire dalla stagione 2011/12 con il complesso aperto sette giorni su sette per far fruttare i tanti negozi e gli spazi destinati all’intrattenimento.
Sportfive gestisce in esclusiva il nome dell’impianto (nei progetti dell’azienda da assegnare ogni quattro anni), la vendita del 50% dei palchi ed i 650 posti della Tribuna Premium.
Le differenti concezioni di capitalizzazione del business in termini di gestione degli stadi rappresentano il punto di distacco più profondo soprattutto tra la realtà italiana e quella inglese. Per poter comprendere appieno i meccanismi che hanno creato una linea di demarcazione tanto netta sotto il profilo della massimizzazione dei profitti derivanti dalle più svariate opportunità garantite da uno sfruttamento ad hoc degli impianti sportivi occorre illustrare in primis il come le istituzioni nazionali si sono rapportate a due diverse tragedie che, loro malgrado, hanno dato il là a delle rivoluzioni in termini di leggi per la sicurezza negli stadi e non solo: l’omicidio Raciti a Catania e la tragedia dello stadio di Hillsborough a Sheffield, appena quattro anni dopo l’incendio di Bradford, in Inghilterra.
Venerdì 2 febbraio 2007 a Catania perse la vita Filippo Raciti, esponente delle forze dell’ordine colpito a morte nel tentativo di sedare la guerriglia urbana operata dai tifosi catanesi al termine del derby di campionato giocato allo stadio Massimino contro il Palermo. Si parlò di interventi drastici per reprimere la violenza, di vietare l’ingresso del pubblico negli impianti non in regola, di ispirarsi all’esperienza dell’Inghilterra, dove il fenomeno hooligans è stato represso con interventi concreti sia a livello legislativo sia a livello di strutture sportive. Il Governo intervenne bloccando i campionati ed imponendo provvedimenti più severi per i tifosi violenti con il Decreto Legge n. 8 dell’8 febbraio 2007 rubricato Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche. Il testo, diviso in 12 articoli, apportava modifiche ai due decreti legge Pisanu (il 28/03, convertito dalla Legge 88/03, e il 162/05, convertito dalla Legge 210 del 2005). I principali aspetti stabiliti da tal decreto riguardano tuttora punti come l’ingresso negli stadi non a norma di soli tifosi in possesso di un abbonamento annuale se l’impianto dispone almeno di biglietti numerati, varchi dotati di metal detector all’ingresso e barriere in grado di impedire ai sostenitori delle due squadre di venire a contatto. Il giudice (non più il questore, come invece previsto dalla Legge 401 del 1989) dispone inoltre del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (in sigla Daspo) per i tifosi che risultano denunciati o condannati, con sentenza definitiva, per aver preso parte ad episodi di violenza su persone o cose. Chi viene colpito dal provvedimento restrittivo ha anche l’obbligo di presentarsi in un ufficio o in un comando di polizia durante lo svolgimento delle manifestazioni sportive. È prevista altresì la reclusione, da uno a quattro anni, per chiunque lanci ed utilizzi, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, razzi, bengala e fuochi artificiali e per chi faccia uso di bastoni e oggetti contundenti. La pena aumenta se dal fatto deriva lo slittamento del fischio di inizio, la sospensione, l’interruzione e la cancellazione della manifestazione sportiva. Sono inoltre previsti dai sei mesi ai tre anni di reclusione per chi è trovato in possesso di oggetti contundenti ed è aumentato da 36 a 48 ore il periodo di tempo durante il quale le forze dell’ordine possono visionare i filmati delle telecamere ed identificare i responsabili dei disordini. Dal blocco totale si passò però in brevissimo tempo alle partite a porte chiuse per gli stadi non a norma, per poi concedere gradualmente l’ok a tutti gli impianti. Dopo la tragedia di Catania, i club, in contrasto con i Comuni sulla ripartizione delle spese complessivamente ammontanti a 35 milioni di euro, hanno portato a termine lavori sugli impianti e sulla sicurezza che si trascinavano da almeno un anno e mezzo, dalla pubblicazione del Decreto Pisanu del 6 giugno del 2005. Spazi adeguati all’ingresso, organizzazione dei controlli, sistemi d’accesso regolati da speciali tornelli che permettono il passaggio di un solo spettatore alla volta se in possesso di regolare biglietto nominativo, ma anche sistemi di video-sorveglianza e di illuminazione interni ed esterni, recinzioni e locali attrezzati per le forze della polizia: sono state queste, nella maggioranza dei casi, le migliorie apportate a tempo di record in quasi tutte le città interessate da realtà calcistiche impegnate nei campionati professionistici dalla Serie A alla Seconda divisione Lega Pro. La svolta italiana, che il 14 agosto 2009 ha visto anche il varo della Tessera del tifoso, non può però fermarsi a tali provvedimenti, bensì occorre risolvere e non eludere i problemi di fondo perché, al di là degli importantissimi concetti di sicurezza, il sistema attuale non massimizza a dovere le fonti di profitto. L’esperienza inglese fornisce in tal senso ancora una volta esempi su cui meditare sia nella lotta alla violenza sia nella proficua gestione del business calcistico. Oltremanica l’11 maggio 1985 nello stadio di Bradford si sviluppò un incendio, probabilmente originato da un fiammifero o da una sigaretta, che interessò un’intera tribuna dell’impianto. A causa delle fiamme persero la vita 56 persone, mentre altre 265 subirono conseguenze di diversa entità. Quattro anni più tardi si registrò la morte di 96 tifosi schiacciati contro una recinzione dello stadio di Hillsborough a Sheffield. A seguito di questi due eventi nel Regno Unito fu avviata una estesa attività di revisione e di miglioramento della sicurezza degli impianti sportivi finalizzata ad evitare il ripetersi di tali tragedie. Lo stato della sicurezza degli stadi inglesi fu delineato nel rapporto Taylor: seguendone le raccomandazioni e recependone le conclusioni, a partire dal 1990 furono adottati i primi provvedimenti. In particolare, ad un primo studio complessivo sulla sicurezza degli stadi del 1990, seguì nel 1994 la decisione di ridisegnare le zone per spettatori eliminando i posti in piedi. Il rapporto Taylor, inoltre, portò alla redazione di una guida alla sicurezza degli impianti sportivi elaborata dal Ministero della Cultura, dello Sport e dello Spettacolo insieme al corrispondente organo scozzese. Una guida, determinante per la rivoluzione britannica, che conteneva le indicazioni sui compiti degli organi che autorizzano e certificano gli impianti sportivi con lo scopo di assisterli nella valutazione della sicurezza. La ricetta inglese per riportare la gente allo stadio, in particolare, è passata attraverso la completa ristrutturazione degli impianti con l’eliminazione delle barriere tra il campo di gioco e la tribuna, l’installazione di seggiolini in tutti i settori, una capienza di almeno 20mila posti con possibilmente dei box privati, l’uso di telecamere a circuito chiuso, la presa di coscienza dei tifosi dopo il bando di 5 anni dalle competizioni europee imposto dalla UEFA dopo la tragedia dell’Heysel del 29 maggio 1985 e la responsabilizzazione delle società, cui è stata affidata la sorveglianza all’interno degli impianti attraverso la presenza di stewards privati, pagati dai club, in collegamento via radio con la polizia presente solo all’esterno degli impianti. Fu inoltre imposto ai team il divieto di intrattenere rapporti con i propri sostenitori, fatta eccezione per la collaborazione finalizzata a prevenire possibili incidenti, e fu creata una squadra speciale di sorveglianza nazionale anti-hooligans, la National Football Intelligence Unit, costituita da Scotland Yard nel 1989. Un agente è ancor oggi affidato a ognuna delle 92 società professionistiche e si occupa, viaggiando sempre al seguito della tifoseria, della schedatura dei tifosi violenti e di azioni di infiltrazione. Con questo sistema è stato possibile schedare, in un’apposita banca dati, circa 7mila tifosi. Non meno importante è stata l’applicazione del sistema “Crimistoppers”, un numero verde a cui si può telefonare per segnalare episodi, persone sospette o situazioni pericolose. Le denunce sono rigorosamente anonime e vi è una ricompensa per i cittadini che consentono la cattura degli eventuali teppisti.
Dal punto di vista legislativo i principali interventi sono stati lo Sporting Event Act (1985), che vieta l’introduzione degli alcoolici negli stadi, il Public Order Act (1986), che indica come reato il comportarsi alle partite in modo allarmante, anche se non violento, concedendo ai magistrati il potere di impedire l’accesso negli impianti a singoli tifosi facinorosi che devono presentarsi ai rispettivi comandi di polizia in occasione delle partite, il Football Offences Act (1991), che permette alla polizia di arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo per violenza verbale (linguaggio osceno e cori razzisti), ed il Football Disorder Act (2002), che conferisce a Scotland Yard poteri tanto enormi da poter sequestrare il passaporto di un sospettato appena cinque giorni prima di una gara che si disputi all’estero.
Un’evoluzione che non si è fermata all’ambito legislativo. Consapevoli dei benefit che ne sarebbero derivati sotto il profilo finanziario, infatti, per migliorare le loro casse alcuni club come Arsenal, Newcastle e Manchester United hanno posto in essere delle operazioni di cartolarizzazione. I proventi futuri che le banche hanno anticipato non sono stati, però, quelli dei diritti televisivi o delle sponsorizzazioni, considerati troppo variabili nel tempo per essere presi in considerazione ai fini finanziari, ma gli incassi derivanti dal botteghino, che per le società inglesi, da quando la violenza è stata debellata, risultano in costante crescita. Grazie alla presenza di una base fedele di tifosi veri e paganti l’Arsenal ha ottenuto un prestito di 210 milioni di sterline per 25 anni ad un tasso di interesse superiore di soli 52 punti base a quello del debito pubblico. Lo sport si è trasformato a tutti gli effetti in spettacolo e ciò che conta è, oggi più di ieri, portare la gente allo stadio e fidelizzarli al brand societario. Purtroppo la gestione degli impianti sportivi rappresenta una fonte di ricavo che in Italia si presenta solo dal punto di vista teorico. Infatti, tranne rare eccezioni, bisogna parlare di mancati introiti che stanno spingendo le società quantomeno ad interessarsi all’argomento. Nel nostro Paese le strutture sportive sono quasi esclusivamente di proprietà dei Comuni e i club non hanno la capacità di influire sul loro utilizzo, anzi, molte volte esse vengono adibite contro la volontà delle società stesse a manifestazioni, come i concerti, che rovinano il manto erboso. Nel campionato inglese i club sono invece proprietari degli stadi, i quali rappresentano una fonte di ricavo durante le partite, con i servizi bar e con quelli di catering destinati alle aziende alle quali vengono riservate zone chiuse nelle tribune ovvero i già citati skybox, e in egual misura durante la settimana con il cinema, i ristoranti e i negozi costruiti all’interno e affidati in gestione a terzi. Lo stadio costituisce, quindi, un asset fondamentale sia come componente patrimoniale che si aggiunge al parco calciatori con garanzie infinitamente maggiori, sia per la creazione di valore tramite la gestione delle numerose attività commerciali che si possono sviluppare al suo interno.
I club italiani più importanti, ma anche i piccoli, hanno da tempo compreso che la proprietà o l’affitto degli impianti per tempi lunghi sono le uniche modalità per cercare di incrementare quella voce ricavi da stadio che ancora oggi risulta limitata nella maggior parte dei casi ai soli proventi connessi alla vendita dei biglietti. Tuttavia, per ragioni diverse, sia la costruzione di nuove strutture da parte delle società sia la privatizzazione degli impianti esistenti sono stati per anni di difficile realizzazione, specie nel breve/medio periodo: gli investimenti risultavano esosi, vi erano vincoli urbanistici da superare ritenuti eccessivi e in molte città non si è riusciti a far accettare l’operazione all’opinione pubblica. Gli inglesi hanno compreso per primi i cambiamenti del calcio moderno generando quella che deve essere la struttura di uno stadio di calcio efficiente sotto il profilo economico: dimensione non superiore ai 40mila posti tutti rigorosamente a sedere, espressamente pensato per il calcio e dunque senza pista di atletica, dotato di sale polivalenti, palestre, servizi commerciali differenziati e di una serie di box esclusivi per seguire gli incontri in posizione particolarmente privilegiata, caratterizzato da una massima adattabilità alle riprese televisive e da una gestione commerciale dello stesso affidata direttamente ai club solitamente attraverso la creazione di una società apposita. La proprietà o la concessione per un ampio arco temporale svincola le società dai canoni di locazione annuale che si sommano ai costi di manutenzione, ma, soprattutto, consente di amministrare in proprio gli spazi pubblicitari dello stadio stesso evitando la cessione a società di gestione di consistenti percentuali che in gran parte dei casi si aggiungono al prezzo dei biglietti gravando di conseguenza sugli spettatori. Uno stadio moderno di proprietà diviene pertanto il biglietto da visita di un club, inquadrandosi come il luogo in cui si svolgono le manifestazioni attinenti al core business della squadra e in cui si sviluppano attività collaterali che diversificano ed ampliano gli introiti: punti di ristorazione, alloggi, box office per aziende che vogliano rendere il soggiorno dei loro clienti più piacevole. L’impianto potrebbe poi comunque essere subappaltato per eventi extrasportivi come concerti, convegni, esposizioni. In questo modo si sfrutterebbe tutto l’anno una struttura c

he attualmente è teatro di avvenimenti mediamente una volta a settimana e che quindi non giustifica le ingenti spese alle quali è soggetta. L’esperienza più significativa di come utilizzare in maniera diversificata uno stadio è, senza dubbio, quella del Manchester United, modello principe di efficienza economica ed esempio estremo della diversificazione dei ricavi. L’Old Trafford è considerato un’autentica industria del marketing: 75.731 posti tutti a sedere, un sistema di sicurezza efficientissimo, 27 telecamere a circuito chiuso collegate che consentono di individuare con facilità anche il singolo tifoso, terreno di gioco dotato di migliaia di serpentine che ne permettono il riscaldamento, box esclusivi per un totale di 4.973 postazioni (una sorta di suite che le aziende affittano all’inizio della stagione per intrattenere i loro clienti in occasione delle partite), un ristorante, il Red Cafè, una sala polivalente per mille persone, un museo e lo splendido megastore dedicato alla vendita dei gadget della squadra. E nel Regno Unito si tratta solo del benchmark in materia dato che numerosi club hanno optato, seppur in scala ridotta, per tale manovra. Nel nostro Paese, se si esclude la Reggiana che da oltre un decennio milita in categorie minori giocando all’ex stadio Giglio, è stato il Siena il primo club con presenze in A nell’ultimo quinquennio ad affiancare dalla stagione 2007/08 alla 2012/13 al nome di stadio Artemio Franchi quello di Montepaschi Arena in virtù della munifica sponsorizzazione della banca senese, già jersey sponsor dei toscani. Un primo passo verso la possibilità di titolazione della struttura godendo totalmente dei conseguenti introiti può essere rappresentato dall’ottenimento della sua concessione da parte della società di calcio. Questo si è verificato nel caso della Juventus, primo club in Italia a sfruttare a tutti gli effetti il naming rights grazie allo Juventus Stadium, operante dall’8 settembre 2011. In virtù dell’intesa raggiunta con Sportfive, società specializzata nel marketing sportivo appartenente al Gruppo Lagardère, il club incasserà 75 milioni di euro per 12 anni: 6.5 all’anno da quando lo stadio è stato aperto al pubblico con il complesso accessibile sette giorni su sette per capitalizzare la presenza dei negozi e degli spazi dedicati all’intrattenimento. Sportfive gestisce in esclusiva il nome dell’impianto (che può essere assegnato ogni quattro anni), la vendita del 50% dei palchi ed i 650 posti della Tribuna Premium. Il nuovo stadio, che può ospitare 41mila spettatori, è stato concepito con i massimi standard di sicurezza. L’accesso all’impianto, privo di barriere architettoniche, avviene da quattro ingressi posti sugli angoli, con ampie rampe che seguono il profilo delle collinette verdi sulle quali sorge l’impianto e che portano ad un anello, dove possono essere controllati i titoli di ingresso e dove possono sostare i mezzi di soccorso, che gira intorno allo stadio. Le panchine sono po­sizionate in prima fila all’interno della tri­buna, come negli stadi inglesi. Alle gradinate e alle tribune, che sono a 7.5 metri di distanza dal campo di gioco, si accede da 16 passerelle distribuite nei diversi settori dell’impianto. In caso di emergenza lo Juventus Stadium si può svuotare in meno di 4 minuti. Al di sotto delle gradinate sono state realizzate le aree di servizio per lo stadio e la squadra. Il progetto, sul modello del St James’ Park del Newcastle, ha concepito un profilo a semicerchio privo di elementi che si distacchino dalla linea di continuità. Inoltre lo stadio ingloba un’area vastissima, costituita da 4mila posti auto, 8 ristoranti e 20 bar. All’interno anche 3 spogliatoi, un museo dedicato alla storia della Juventus, 34mila metri quadrati di aree commerciali e 30mila metri quadrati di aree verdi e piazze. La struttura esterna dello Stadium ricorda quella di una astronave ed è composta da 40mila lamine di alluminio oscillanti e riflettenti che offrono il suggestivo effetto di una bandiera in continuo movimento.
La copertura in ETFE degli spalti è sorretta da due pennoni che richiamano la vecchia struttura del delle Alpi. Studiata in galleria del vento, è stata realizzata ispirandosi al profilo delle ali degli aerei: una struttura di grande leggerezza, realizzata in una membrana in parte trasparente e in parte opaca, per permettere una visione ottimale del campo, sia diurna sia notturna, e per garantire il passaggio di luce sufficiente alla crescita del manto erboso. All’interno dell’impianto è stato costruito il Museo della Juventus, una delle attrazioni calcistiche più importanti del mondo. Il museo vanta diverse sale in cui sono esposti tutti i trofei vinti dal club oltre alle maglie dei giocatori più importanti della storia della società torinese ed è caratterizzato da aree interattive e ricche di foto storiche. Il 29 maggio 2010, in occasione del 25º anniversario della strage dell’Heysel, il presidente della Juventus Andrea Agnelli ha annunciato che a breve uno spazio dello stadio verrà dedicato alla memoria delle vittime di quella tragedia. Vi è altresì una sorta di Walk of Fame in cui cinquanta dei giocatori più importanti della storia della Juventus sono stati onorati con una propria stella celebrativa. A tale sezione è stato abbinato il progetto “Accendi una stella”, che ha permesso ai tifosi di acquistare sino al 30 giugno 2012 una stella con il proprio nome accanto a quella di campioni come Dino Zoff, Alessandro Del Piero, Roberto Baggio, Zinedine Zidane o Michel Platini. Particolare, tra le iniziative portate avanti nei giorni delle partite di campionato, è il pacchetto “Match Day Special Tour” che consente ai supporter bianconeri di visitare le aree più esclusive dello stadio, compresi il terreno di giuoco e gli spogliatoi già allestiti con le divise preparate per i calciatori, a poche ore dal fischio di inizio della gara. Tale opzione viene proposta sempre ad eccezione della concomitanza con i confronti domenicali il cui calcio di inizio è fissato alle 12.30. È invece tramontato a Livorno il progetto relativo all’impianto Stadio dei martiri di polizia per mani ultras, i cui lavori sono stati in passato oggetto di un’indagine della magistratura poi archiviata. La struttura, con sede nel quartiere Scopaia, dal 2013 avrebbe dovuto sostituire l’Armando Picchi assumendo la denominazione di Ipercoop Stadium, dal nome dello sponsor in passato in predicato di acquisirne i naming rights. Nell’estate 2013, dopo il ritorno in Serie A, il club amaranto, poi retrocesso al termine della stagione, ha stipulato un accordo con l’amministrazione comunale locale per anticipare i fondi destinati al riammodernamento del Picchi con la spesa, di circa 500mila euro, che sarebbe poi stata scalata dal canone dello stadio da pagare a torneo in corso. Nel maggio del 2005 invece la Giunta del Comune di Milano ha approvato la delibera per la cessione dello stadio Giuseppe Meazza di San Siro ad un consorzio formato da Inter e Milan per i successivi 99 anni. Le due società, dal canto loro, si sono impegnate ad apportare lavori di riammodernamento alla struttura per 34 milioni di euro e a pagare ratealmente altri 14 milioni. In passato anche Bologna e Brescia hanno presentato dei progetti, ma non hanno trovato grande fortuna. I felsinei, che nel 1998 avevano stipulato un accordo con il Comune per l’utilizzo trentennale dello stadio Dall’Ara, presentarono, nello specifico, nel dicembre 2006 una bozza di maxi-progetto per la realizzazione di una cittadella dello sport con un investimento complessivo che sarebbe stato pari a 500 milioni di euro e avrebbe coinvolto 310 ettari di terreno su cui sarebbero dovuti sorgere un parco divertimenti, un parco acquatico, un parco dell’auto con spazi museali e una pista per le prove su strada, un campo da golf da 18 buche, centri commerciali, negozi ed appartamenti, oltre, ovviamente, al centro tecnico e al nuovo stadio del Bologna. Un’idea ambiziosa che, causa un eccessivo ostruzionismo da parte dell'amministrazione locale, è stata definitivamente archiviata nel dicembre 2010, quando l’Associazione Pro Bologna ha presentato un piano di ristrutturazione quinquennale del Dall’Ara che, permettendo tra l’altro al club di non emigrare in provincia, è stato ritenuto maggiormente idoneo al modello di sviluppo sostenibile seguito dalla città. A Brescia, invece, era stato progettato l’avveniristico Stadium Global Center, che prevedeva la realizzazione a Castenedolo, paese a 16 chilometri dal centro cittadino, di un polo immobiliare comprendente oltre al nuovo stadio del Brescia Calcio anche un centro sportivo polifunzionale, una galleria commerciale con 160 negozi, un ipermercato, 40 esercizi tra ristorazione e tempo libero ed un hotel con 200 camere ed un centro congressi. I lavori sarebbero dovuti iniziare a settembre 2007 per poi concludersi nel 2010, ma nell’agosto 2009 il progetto è sfumato al cospetto della volontà del sindaco Adriano Paroli di voler costruire un ipotetico nuovo impianto in città e non fuori. Il 24 settembre 2010 l’allora presidente Cellino ha invece presentato il progetto per il nuovo impianto del Cagliari. Lo stadio Santa Cristina ad Elmas, questo il nome della struttura che avrebbe dovuto sostituire il Sant’Elia, avrebbe dovuto prevedere 23.600 posti di capienza massima, tutti al coperto, altissimi standard di qualità e sicurezza, 5mila parcheggi, due ingressi utilizzati per collegare la viabilità interna con quella ordinaria e un collegamento diretto con le Ferrovie dello Stato. Previsto anche un ampio parco naturale intorno alla chiesa campestre di Santa Cristina, ma non un megastore né alcuna attività collaterale di sorta, limitando dunque gli incassi come da tradizionale realtà italiana. Tal progetto non è stato mai concretizzato, anzi, ha addirittura i contorni di una soap opera quanto accaduto al Cagliari con lo stadio Is Arenas di Quartu Sant’Elena. Nel 2012 gli isolani decisero di abbandonare lo stadio Sant’Elia a causa della parziale inagibilità che avrebbe causato un’apertura con capienza ridotta in vista del campionato di Serie A 2012/13. Il patron dell’epoca Cellino ordinò di smantellare alcune gradinate della struttura disponendo la ricostruzione delle medesime a Quartu. Il 2 settembre il nuovo impianto ospitò così a porte chiuse la gara con l’Atalanta in quanto presentava solo la base della tribuna Main Stand con il cantiere aperto: mancavano la tribuna stampa e gli spogliatoi progettati nella tribuna centrale, così i giornalisti furono posizionati nel settore distinti e i calciatori dovettero utilizzare gli spogliatoi dell’adiacente Palazzetto dello Sport di via Beethoven, struttura che ospitò di fatto anche la conferenza stampa post-gara. Il 30 settembre, contro il Pescara, l’Is Arenas fu poi aperto ai tifosi fidelizzati collocati nella tribuna distinti e il 10 novembre, contro il Catania, furono aperte anche le due curve. Il 26 novembre, in occasione di Cagliari – Napoli, lo stadio fu poi messo completamente a disposizione con una capienza di 16.082 spettatori. Nel mezzo vi era stata la sconfitta a tavolino per 0-3 contro la Roma causata dall’invito di Cellino ai propri tifosi di recarsi all’esterno dell’impianto pur senza biglietto. In seguito giunse la protesta del WWF Sardegna che chiese in via ufficiale al sindaco di Quartu di interrompere i rapporti con il Cagliari e chiudere l’impianto per evitare i disturbi che gli incontri di calcio causavano all’avifauna presente nel vicino Parco Molentargius. Datato 14 febbraio 2013 è l’episodio che pose definitivamente la parola fine sul caso Is Arenas. Cellino fu arrestato in maniera cautelare assieme al sindaco di Quartu Sant’Elena Mauro Contini e all’assessore allo sport Stefano Lilliu nell’ambito dell’inchiesta della procura di Cagliari sui lavori di adeguamento dello stadio. Le accuse a carico dei tre erano di tentato peculato e falso ideologico, le medesime che avevano pochi mesi prima portato all’arresto dei dirigenti comunali Pierpaolo Gessa e Andrea Masala. Qualche giorno dopo fu accusato di abuso edilizio anche il progettista Jaime Manca di Villahermosa. La conseguente impossibilità di ottenere nuove deroghe per l’utilizzo dell’impianto portò alla definitiva chiusura da parte della commissione di vigilanza per inagibilità. Contro Torino, Sampdoria e Fiorentina gli isolani giocarono così a porte chiuse, contro Inter, Udinese, Parma e Lazio traslocarono allo stadio Rocco di Trieste. Tornato in libertà il 14 maggio 2013, Massimo Cellino comunicò il successivo 25 giugno la propria decisione di abbandonare definitivamente l’Is Arenas. I rossoblù tornarono così al Sant’Elia, ricostruito, neanche a dirlo, con parte della struttura dell’impianto quartese. Ma in Italia la negligenza non appartiene solo alla concezione ancora approssimativa degli altri club. C’è da sottolineare che, oltre alla pessima gestione dei fondi derivati dai Mondiali del 1990 e al fallimento della campagna per l’assegnazione degli Europei del 2016, a rallentare il processo di rivoluzione del business degli stadi ha provveduto anche l’apparato legislativo italiano. In particolare le società hanno combattuto per anni per la cancellazione dei vincoli idro-geologici ed archeologici anche se in realtà un disegno di legge ad hoc era già stato approvato all’unanimità dal Senato nel 2009, salvo poi rimbalzare continuamente tra Palazzo Madama e la Commissione Cultura della Camera. Nell’articolo 2, il disegno di legge in questione sottolineava che gli interventi possibili sarebbero stati di due tipi: quelli per costruire o ristrutturare complessi sportivi per renderli moderni, funzionali e attrezzabili con attività commerciali, musei delle squadre e tutto quello che oggi già vediamo negli impianti più moderni in Europa, e quelli che invece avrebbero riguardato i complessi multifunzionali, per cui, insieme allo stadio, si sarebbe potuto costruire anche un nuovo quartiere con insediamenti residenziali, attività commerciali, ricettive, di svago, culturali e di servizio, da poter realizzarsi anche in aree non contigue allo stadio. I club, eventuali società di capitali dagli stessi controllati e soggetti pubblici o privati interessati a simili operazioni avrebbero potuto accedere a tale provvedimento con procedure davvero speciali: sarebbe infatti bastato presentare uno studio di fattibilità finanziario e ambientale per avviare l’approvazione del progetto, entro 60 giorni il sindaco avrebbe poi dovuto promuovere un accordo di programma per approvare le necessarie varianti urbanistiche e per conseguire l’effetto di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità e urgenza, come se si fosse trattato di opere pubbliche. Il tutto sarebbe poi stato da chiudersi entro 6 mesi. Per facilitare queste operazioni sarebbero stati inoltre previsti soldi pubblici non solo per gli stadi, ma persino per i complessi multifunzionali, per le case e gli uffici privati delle società, attraverso un piano triennale di intervento straordinario che avrebbe previsto la concessione di contributi destinati all’abbattimento degli interessi sul conto capitale degli investimenti e avrebbe permesso di accedere alle agevolazioni e ai fondi erogati dall’Istituto per il Credito Sportivo. All’anomala alleanza tra PD e Lega Nord nel non voler approvare in passato tal disegno, si era aggiunto il presidente della Lazio Claudio Lotito, oggetto il 20 maggio 2011 di un attacco da parte dell’onorevole Giovanni Lolli, che insieme ad Alessio Butti aveva presentato il disegno di legge, perché colpevole di far pressioni al fine di non far licenziare definitivamente una variante del disegno che, firmata ed approvata già nel dicembre 2010 all’unanimità dai membri della Commissione della Camera, avrebbe continuato a salvaguardare i vincoli idro-geologici ed architettonici impedendo di fatto a Lotito di costruire sui propri terreni nella zona della Tiberina il nuovo Stadio delle Aquile con tanto di cittadella biancoceleste intorno. Un progetto ambizioso se si considera che l’impianto, di circa 60mila posti, avrebbe avuto una semicopertura dotata di sistemi fotovoltaici per l’accumulo di energia e avrebbe previsto al proprio interno cinema multisala, ristoranti, supermercati, e store del club per un totale di spesa di circa 250 milioni di euro. Anche la Fiorentina, nel 2008, aveva presentato il suo progetto, denominato Cittadella viola, comprendente uno stadio da 40-50mila posti, un centro commerciale, un hotel ed un parco a tema calcistico, ma in quella fase l’idea non fu appoggiata dalle istituzioni. Trasferendoci a Milano, l’Inter, prima dell’avvento di Thohir, sognava di trasferirsi in zona Rho-Pero edificando un impianto poi non concretizzato. Il Palermo di Zamparini punta a traslocare invece nella Zona ad Espansione Nord della città: 130 milioni di euro per 31mila posti, sala congressi, cinema e alberghi. Al momento l’impianto simbolo della moderna concezione di restyling è invece il nuovo stadio Friuli dell’Udinese. L’obiettivo principale del progetto è stato creare un impianto sportivo moderno, sicuro e sostenibile in grado di offrire un’esperienza unica a tutti gli utenti continuando contestualmente a rappresentare un segno distintivo positivo per la morfologia e l’architettura del territorio. I bianconeri hanno mantenuto l’immagine storica dell’arco riducendo l’impatto sull’ambiente circostante. Il nuovo stadio è rigorosamente a norma UEFA, coperto e dotato di tutti i servizi necessari per far vivere l’impianto sia il giorno dell’evento sportivo sia durante la settimana. La morfologia dell’impianto di progetto si sviluppa partendo da un restyling delle gradinate della Tribuna Ovest con l’inserimento di postazioni skybox e l’ammodernamento dei servizi funzionali all’attività calcistica. La completa demolizione della rimanente struttura e la ricostruzione dei nuovi spalti secondo un’attenta configurazione plano-altimetrica consente ora la massima sinergia nella fruizione dell’evento sportivo: in un rapporto di reciprocità, dagli spalti lo spettatore avrà la sensazione di essere sul terreno di giuoco e dall’altra l’atleta sentirà la presenza e il supporto della propria tifoseria. In quest’ottica il progetto ha previsto un ridimensionamento dello stadio, passando da circa 41mila a 25.144 posti così da creare una nuova tipologia di impianto sportivo più vicino al concetto architettonico di anfiteatro, ovvero un luogo di spettacolo e celebrazione degli eventi sportivi.
Dopo tante parole a cambiare le carte in tavola è giunta il 27 dicembre 2013 la riforma tanto attesa. La Legge di Stabilità, così come licenziata dal Senato, ha stanziato 45 milioni di euro nel successivo triennio per il credito agevolato mirato alla realizzazione di nuovi impianti. Il Fondo Nazionale di Garanzia è amministrato in gestione separata dall’Istituto per il credito sportivo. Il provvedimento numero 147 riguarda in particolare l’ammodernamento o la costruzione di stadi con un occhio di riguardo per la sicurezza delle strutture e degli spettatori. I nuovi progetti devono essere realizzati prioritariamente mediante il recupero di impianti esistenti o in via alternativa localizzando terreni in aree edificate.
Per quanto riguarda le procedure, i club sono chiamati a presentare al Comune di competenza uno studio di fattibilità che non può prevedere altri tipi di interventi salvo quelli strettamente funzionali alla fruibilità della struttura e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa. Fondamentale, per chi presenta il proprio progetto, è il concorrere alla valorizzazione in termini sociali, occupazionali ed economici del territorio. Secondo la nuova legge 147, contrariamente al disegno del 2009, non si possono però prevedere costruzioni residenziali perché, pur avendo il merito di abbattere in parte il costo iniziale, non inciderebbero tuttavia sui ricavi continuativi. Bisogna dunque concentrarsi sulle licenze compensative con la possibilità di costruire bar, ristoranti, musei dello sport, fan shop, ma anche alberghi o centri commerciali, il tutto per ottenere ricavi integrativi e diversificati funzionali al conseguimento della tanto ambita stabilità finanziaria. Il caso Udinese ben delinea le differenze tra il precedente iter legislativo e quello attuale. Il club della famiglia Pozzo ha infatti impiegato sei anni per passare dallo studio di fattibilità alla fase realizzativa del nuovo Friuli. Dal 2008 è stata messa nelle condizioni di poter procedere ai lavori solo nel 2014, mentre con la nuova legge, che il club bianconero non ha potuto sfruttare, avrebbe impiegato 315 giorni. I friulani hanno dovuto inoltre far fronte a costi amministrativi e di riprogettazione inaspettati. Le incertezze e i tempi lunghi determinano rischi e investimenti aggiuntivi, le certezze e i tempi brevi li eliminano. Il Fondo Nazionale di Garanzia può in particolare stanziare una quota di finanziamento intorno al 50%, ma per alcune tipologie di operazioni la copertura potrebbe essere più elevata. Si tratta di uno strumento mirato a supportare soprattutto il finanziamento di impianti piccoli o medio piccoli come campi da basket, piscine o piccoli stadi per la Lega Nazionale Dilettanti o la Lega Pro. L’Istituto, assieme alla Coni Servizi, si sta non a caso facendo promotore dei vantaggi della legge soprattutto presso i club minori. Tra i progetti di rilievo in tal senso vi sono il centro di allenamento della Juventus nell’area Continassa di Torino, il centro sportivo di Bottagisio del Chievo e quello del Bologna a Granarolo. Ma a bruciare sul tempo la concorrenza è stata la Roma di Pallotta. Il dirigente statunitense ha tenuto fede alle promesse dispensate alla tifoseria al momento del proprio insediamento presentando un progetto talmente concreto che sono trascorsi appena tre mesi tra l’emanazione della legge 147 e la data di presentazione del prospetto del nuovo stadio. Mercoledì 26 marzo 2014 il club capitolino ha infatti presentato il proprio progetto per il nuovo impianto in Campidoglio nelle persone del presidente James Pallotta e del sindaco della capitale Ignazio Marino. La struttura, il cui nome è alla base di trattative, avrebbe dovuto esser pronta in due anni e avrebbe dovuto registrare una capienza di 52mila posti destinati a divenire 60mila in caso di grandi eventi. L’architetto Dan Meis lo ha definito una sorta di moderno Colosseo con le tribune a ridosso del campo. L’investimento, di 300 milioni di euro, è però stato bloccato sul più bello dall’amministrazione comunale che nel 2016 ha posto più di qualche dubbio inerente la documentazione inizialmente accettata e dichiarata di interesse pubblico. Il progetto dello stadio, collocato a Tor di Valle, prevede intorno un’area di intrattenimento attiva sette giorni su sette con tanto di boutique, ristoranti e spazi destinati a varie tipologie di manifestazioni. L’idea è quella di un anfiteatro all’aperto con ingresso tramite il Roma Village, una sorta di villaggio di intrattenimento per grandi e bambini. Ovviamente vi sarà anche uno store ufficiale Nike, l’attuale sponsor tecnico. All’interno del complesso sorgeranno anche tre torri affidate all’architetto Daniel Libeskind, colui che sta curando la ricostruzione delle Twin Towers. Si tratta di grattacieli di oltre 100 metri di altezza con circa 30 metri di lato, un’attrattiva in più per chi vorrà acquisire spazi commerciali o addirittura i naming rights del nuovo stadio che saranno in vendita alla cifra di circa 1.315 milioni l’anno. La Raptor di Londra li ha offerti alla Etihad che ha tuttavia declinato l’invito a cimentarsi nell’investimento. Alla costruzione del nuovo stadio si collega tra l’altro l’accordo siglato dalla Roma con Nike al di là della presenza nel progetto dello store ufficiale. Il contratto decennale prevede infatti un fisso annuale da 4 milioni di euro con delle possibilità di aumento legate ad un eventuale incremento dell’indice Istat (per il quale è previsto un aumento del compenso per il sesto e il settimo anno entro un limite massimo del 3%) e, appunto, alla possibile apertura del nuovo impianto. Per l’eventuale anno di inaugurazione della struttura il compenso fisso verrà incrementato fino ad un massimo di un 1 milione di euro, mentre per i campionati successivi aumenterà a 5 milioni stagionali. Il club giallorosso, seppur in senso figurato per evitare di far gravare sul proprio bilancio i costi dell’impresa, risulterà però almeno inizialmente solo come usufruttuario del nuovo impianto. Stando al Prospetto Informativo consegnato alla Consob, la formazione allenata da Spalletti, AS Roma SPV LLC ed Eurnova S.r.l., società proprietaria dell’area situata nella zona di Tor di Valle, hanno infatti sottoscritto un accordo per dar corso alle procedure amministrative previste dalla legge 147 volte ad ottenere il rilascio dei permessi e delle autorizzazioni necessarie a costruire lo stadio e le infrastrutture accessorie. Le due società si sono in particolare impegnate a concedere l’utilizzo della struttura alla AS Roma nei giorni delle gare interne anche se non è da escludere l’ipotesi che in futuro quest’ultima venga inclusa tra i proprietari dell’impianto. Il contratto prevede inoltre un impegno delle parti a rinegoziare in buona fede il contenuto e il corrispettivo del Media Package qualora la Roma dovesse diventare proprietaria di un nuovo stadio o la prima squadra dovesse scegliere una location differente per i propri match casalinghi. Un aspetto, per ora prettamente teorico, che potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio qualora la società calcistica dovesse un giorno cambiare proprietà senza risultare tra gli acquirenti del nuovo impianto: l’AS Roma SPV LLC rappresenta infatti la cordata americana che detiene gran parte delle azioni giallorosse, dunque, in virtù del contratto stipulato, il nuovo stadio resterebbe nelle mani di Pallotta oltre che dell’Eurnova S.r.l. producendo come risultato il dover essere eventualmente acquistato con una trattativa distinta da quella stipulata per l’acquisizione del club. Teorie future che sanno più di tutela per allontanare ipotetici avvoltoi che di intenzioni ciniche tanto dal mal miscelarsi con il progetto a stelle e strisce che punta a svilupparsi in chiave ampiamente prospettica. L’attuale obiettivo giallorosso è convincere l’amministrazione Raggi e completare il nuovo impianto in un biennio, la speranza italiana è che al più presto altre società sfruttino con efficienza la Legge di Stabilità attingendo finalmente alla risorsa stadio sotto il profilo di un business da capitalizzare a tutto tondo sulla falsa riga della resurrezione britannica.


domenica 4 settembre 2016 - 08:58 | © RIPRODUZIONE RISERVATA

 



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