Il D-day per la scadenza della sospensione dei dazi americani potrebbe non essere il 9 luglio.
A sera, mentre i 27 leader si apprestavano a sedersi alla cena di lavoro sui rapporti tra Stati Uniti e Europa, da Oltreoceano è arrivata la notizia che potrebbe ammorbidire la trattativa sulle tariffe.
"La scadenza potrebbe essere prorogata, ma è una decisione che spetta al presidente", ha annunciato la Casa Bianca in una dichiarazione che nasconde due elementi: il primo è che il clima tra Washington e Bruxelles è nettamente migliorato; allo stesso tempo c'è la piena consapevolezza che un accordo sui dazi per il 9 luglio sarebbe impossibile.
Intanto, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, a quanto si apprende da fonti vicine al dossier, ha informato i leader europei di aver ricevuto la controproposta statunitense nel negoziato sui dazi. L'offerta di Washington, si apprende ancora, è composta da un testo di poche pagine e andrebbe a delineare "un accordo provvisorio" tra Usa e Ue.
Il tema, smaltiti i festeggiamenti per l'accordo sul 5% alla Nato, a Bruxelles è tornato di prepotente attualità. L'ombra lunga di Donald Trump ha accompagnato i 27 capi di Stato e di governo da L'Aja a Bruxelles, dove si sono riuniti per l'ultimo Consiglio europeo prima delle vacanze estive. Giorgia Meloni, in questo quadro, non ha fatto eccezione. La premier ha avuto modo di discutere del dossier dazi con Trump nei Paesi Bassi. Ma la sua linea, nonostante la vicinanza politica al tycoon, resta fortemente ancorata all'Europa.
Anzi, a Bruxelles Meloni si è trovata in una posizione mediana tra Francia e Germania, che sui dazi rischiano di scontrarsi seriamente. Berlino, sebbene Friedrich Merz abbia assicurato di sostenere gli sforzi della Commissione, da giorni spinge per un'intesa al più presto, anche se imperfetta. Parigi è ben più attendista. Dietro la formula dell'intesa al 10% vede trappole in diversi comparti economici. E, soprattutto, Emmanuel Macron non vuole un'intesa "asimmetrica" che, pur di evitare la tagliola del 9 luglio, si riveli troppo svantaggiosa. Meloni pur ritenendo che serva un accordo al pi&u
grave; presto, vuole comunque vederci chiaro.
"Eventuali asimmetrie vanno debitamente compensate", hanno sottolineato fonti italiane citando, tanto per fare un esempio, i settori dell'acciaio e dell'alluminio dove le tariffe americane vanno ben oltre il 10%. Ma è la stessa Commissione ad essere allergica ad un accordo su modello di quello tra Usa e Gran Bretagna. "Una cosa è certa: abbiamo bisogno di un accordo equilibrato", ha avvertito il vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné.
"Nei prossimi giorni", hanno rivelato fonti europee, arriverà la proposta americana. L'obiettivo europeo, per il 9 luglio, era trovare almeno un accordo quadro. Ma la possibilità proroga annunciata dalla Casa Bianca cambia - e forse migliora - lo scenario. Il tema è che, a prescindere dai temi, Trump rischia di diventare un eterno e ingombrante convitato di pietra. Anche per Meloni. Sulla difesa, ad esempio, i 27 hanno cominciato a fare i conti dopo l'intesa al 5%. E i conti non tornano.
La premier, hanno spiegato fonti diplomatiche, ha posto innanzitutto un problema: i Paesi con il deficit sotto il 3%, se attivano la clausola di salvaguardia per la difesa, non entrano in procedura; al contrario, Paesi come l'Italia che potrebbe uscire dalla procedura l'anno prossimo, se attivassero lo stop al Patto di stabilità per le spese sulla difesa, resterebbero in procedura ancora per diversi anni. Serve - ha rimarcato Meloni - una diversa e più flessibile interpretazione delle regole. Il tema ha suscitato l'interesse di molti leader, a cominciare da Merz. E ha, forse, accentuato il pressing su chi, come l'Olanda, fa ancora muro all'uso di risorse europee. L'asse tra Italia e Germania, in questo, è evidente. Come è evidente su un altro tema, quello della migrazione. Al consueto incontro dei "falchi" sul tema dei rimpatri, voluto da Italia Olanda e Danimarca, questa volta si è seduto anche il cancelliere tedesco. Al tavolo, come sempre, von der Leyen. A testimonianza che ormai la stretta sui flussi voluti da Roma è un dossier politico trasversale, non riconducibile più a leader euroscettici o capitali periferiche.