Una squadra senza idee e senza alcuna identità o armonia di gioco. La Juve Stabia retrocessa in Serie C, dopo un campionato post-lockdown ai limiti della decenza, con appena cinque punti conquistati in dieci partite stagionali, ha mostrato ampi limiti a livello tecnico, mentale e soprattutto di intesa collettiva in campo. Le Vespe, infatti, lungo il cammino in serie cadetta si sono spesso affidate alla giocata del singolo: il guizzo di Forte, il calcio piazzato di Calò, lo strappo in velocità di Canotto, quasi mai, tuttavia, si è visto un gioco corale ed equilibrato. Un modus operandi che alla lunga, ovviamente, non ha ripagato ed ha condannato i gialloblé al purgatorio della Serie C. Un calcio fatalista ed estremamente rinunciatario che ha rappresentato un vero e proprio supplizio per gli esteti e per i sostenitori di finezze balistiche e tattiche offensive. È stata, insomma, una Juve Stabia brutta e perdente. Una squadra confusionaria, sconclusionata e, negli appuntamenti più importanti, intimorita e senz’anima. La retrocessione, con undici punti di vantaggio sulla terzultima a dieci giornate dalla fine, ha rappresentato un fallimento totale, segnando una delle pagine più nere della storia calcistica della città stabiese.
Una squadra costruita male e schierata in campo ancor peggio. Le colpe principali non possono non ricadere sul direttore sportivo Ciro Polito e su mister Fabio Caserta. Oltre che, naturalmente, su una dirigenza che non ha saputo tutelare la propria società e il patrimonio della Serie
B in maniera adeguata.
La Juve Stabia, tolte pochissime eccezioni, non è mai scesa in campo con lo stesso undici iniziale. Quasi trentotto formazioni diverse in trentotto giornate di campionato. Un unicum, probabilmente, nella storia del calcio. Poche idee e ben confuse. Indice, certamente, di insicurezza e improvvisazione. Anche tatticamente Fabio Caserta non ha mai trovato la giusta quadra. Per diciassette volte si è affidato al 4-3-3, nelle restanti occasioni è stato utilizzato il 3-4-2-1, il 3-5-2, il 4-2-3-1, il 4-4-2, e il 4-3-1-2. Insomma, una squadra priva di certezze e senza alcuna identità di gioco. Una Juve Stabia per niente brillante e senza personalità. E nelle ultime tre fondamentali giornate di campionato contro Venezia, Cremonese e Cosenza, mancante anche del minimo orgoglio.
Un autentico suicidio sportivo che conosce ben poche attenuanti. Un disastro che pone le sue radici nel calciomercato estivo, fatto con budget 0, con l’approdo in gialloblé dei vari Di Gennaro, Izco, Rossi, Buchel etc, e trova il suo apice nella clamorosa e ripugnante lite societaria tra Manniello e Langella. Un fallimento completato, poi, da un silenzio assordante da parte di dirigenti e tesserati in questi giorni successivi alla retrocessione. Castellammare, i tifosi delle Vespe, i quasi 3000 abbonati avrebbero meritato sicuramente di più.
La bellezza è capace di riempire il cuore, sollevare lo spirito, rendere tangibile la felicità e questo popolo ha bisogno di felicità.