Quarantacinque anni fa, alle 19.34 di una fredda domenica di novembre, la terra tremò e l’Irpinia venne travolta da una delle tragedie più profonde della storia repubblicana. Una scossa di magnitudo 6.9 che causò oltre 3.000 morti, 280.000 sfollati e distrusse interi comuni.
Ma quel dolore non rimase confinato alle montagne irpine. La scossa del 23 novembre 1980 cambiò per sempre anche la vita delle città vicine, tra cui Castellammare di Stabia, che pur non essendo epicentro della catastrofe, visse una notte di panico e devastazione psicologica che ancora oggi molti ricordano.
“La terra si muoveva come un’onda”: le voci dell’Irpinia
Nelle zone più colpite, i ricordi sono impressi come fotografie indelebili. «La casa ondeggiava, sembrava piegarsi su se stessa», racconta oggi Maria, di Avellino.«Uscimmo scalzi in strada, con il buio attorno e un silenzio irreale dopo il boato».
Giuseppe, sopravvissuto di Sant’Angelo dei Lombardi, ricorda: «La mia famiglia è rimasta sotto le macerie. Le urla, poi il nulla. Quella notte è un marchio che non va via».
Castellammare di Stabia: la notte in cui tutti scesero in strada
Anche Castellammare tremò forte. Le abitazioni vibrarono come fossero di cartone, le luci saltarono, la gente si riversò in strada tra pianti, urla e incredulità.
Molti stabiesi ricordano ancora oggi quella corsa caotica fuori dai palazzi: «Sentimmo un boato profondissimo, i lampadari oscillavano come pazzi. Mio padre ci afferrò per mano e ci trascinò giù per le scale, pensando che la casa sarebbe venuta giù», racconta Anna, che all’epoca aveva 10 anni.
«Per giorni dormimmo in auto sul lungomare», ricorda Salvatore, oggi 60 anni. «Tutti avevano paura di rientrare nelle case. Le strade erano piene di gente, sembrava un accampamento».
Molti edifici mostrarono crepe,
ma soprattutto fu la paura a segnare la città.
Una catastrofe che cambiò l’Italia
Il terremoto dell’Irpinia non fu solo un evento naturale: mise a nudo le fragilità dello Stato, i ritardi nei soccorsi, le carenze infrastrutturali. Le immagini delle macerie, i paesi collassati, le famiglie distrutte segnarono una generazione intera. La solidarietà fu immensa, ma il percorso della ricostruzione lungo e tormentato, con ritardi e scandali che resero ancora più amaro un dolore che già sembrava incolmabile.
Segni ancora visibili
A quasi mezzo secolo di distanza, sia in Irpinia sia in molte città campane — Castellammare compresa — restano tracce di quel trauma: edifici mai recuperati, borghi che non hanno più ritrovato la loro identità, famiglie che vivono ancora la paura di un tremore improvviso, storie tramandate come cicatrici familiari.
Il dovere della memoria
Ogni 23 novembre, le comunità irpine e campane si raccolgono nel ricordo. E a Castellammare, nelle scuole e nelle associazioni culturali, non manca mai un momento dedicato a quella notte: «Non vogliamo dimenticare niente», dice oggi un’insegnante stabiese. «Perché i nostri ragazzi devono sapere cosa significa perdere tutto in un attimo».
Quarantacinque anni dopo, la forza di un territorio che non dimentica
Il terremoto dell’Irpinia appartiene ormai alla memoria collettiva di tutta la Campania. E mentre si depongono fiori e si leggono i nomi delle vittime, emerge una verità semplice ma dolorosa: la terra ha smesso di tremare, ma la ferita non si è mai completamente chiusa.
E ricordare — oggi più che mai — è un dovere verso chi non c’è più e verso chi continua a vivere in quelle terre, costruendo giorno dopo giorno il proprio futuro sulle fondamenta fragili della memoria.