C’è un’Italia che resiste, che nonostante il debito pubblico, i rallentamenti economici e le pressioni globali, continua a camminare grazie a pochi, solidi motori. Sono i settori che tengono in piedi la macchina statale, quelli che alimentano le casse del Paese e garantiscono occupazione, gettito e immagine. Tra questi, spiccano il gioco d’azzardo, il turismo, la moda e, sempre più prepotentemente, la tecnologia.
Il gioco legale, in tutte le sue forme, tradizionale e online, è diventato uno dei pilastri del gettito fiscale. Secondo dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, le imposte legate ai giochi figurano tra le più consistenti e stabili. Il contributo di questo settore alle entrate dello Stato è tutt’altro che trascurabile. Come ogni medaglia, anche questa ha il suo rovescio. Il quadro si sta internazionalizzando aprendo le porte a nuovi casinò che sono molto invitanti per la loro vasta scelta di offerte di gioco, per i bonus allettanti e per l’impiego della tecnologia: molte legislazioni internazionali sono più veloci e flessibili nell’applicazione di questi tre aspetti, rendendo quindi queste piattaforme più allettanti per un utente sempre più esigente. Questo penalizza un po’ le licenze italiane soggette a una normativa burocraticamente più lenta. Per questo motivo aumenta la necessità di fare un modo che la normativa possa variare più velocemente pur sempre garantendo un ambiente sicuro.
Poi c’è il turismo, il vecchio motore dell’economia italiana, quello che da sempre muove sogni, posti di lavoro e milioni di viaggiatori. Prima della pandemia valeva circa il 13% del PIL nazionale, e dopo il crollo dovuto al Covid ha rialzato la testa con forza.C’è infatti un ritorno massiccio del turismo culturale, naturalistico ed enogastronomico, che oggi spinge nuove rotte e nuovi mercati. È un settore con un effetto moltiplicativo: ogni viaggiatore porta ricchezza a ristoranti, trasporti, commercio, artigianato, alberghi. Eppure le sfide restano enormi: infrastrutture spesso inadeguate, sostenibilità ancora tutta da costruire, stagionalità e costi dell’energia che rendono difficile competere con
altre destinazioni europee.
Il Made in Italy continua invece a raccontare al mondo l’identità di un Paese che sa fare le cose belle e bene. Moda, lusso, artigianato: da Milano a Firenze, da Napoli a Stabia, il genio italiano è sinonimo di stile, qualità e tradizione. I settori moda, design, tessile e pelletteria non sono solo immagine, ma anche export, innovazione e occupazione qualificata. Eppure anche qui si avvertono crepe: i costi crescono, la concorrenza internazionale è feroce, la digitalizzazione è ormai un passaggio obbligato e la sostenibilità ambientale non è più un valore aggiunto ma una condizione di sopravvivenza. Si sono aggiunti anche i dazi imposti dall’amministrazione Trump che ha reso l'esportazione dei nostri prodotti verso un mercato come gli Usa, molto più oneroso e complesso.
Arriva dunque la tecnologia, il pilastro emergente. È il settore che più di tutti guarda al futuro, quello che può fare da ponte tra tradizione e modernità. In molte regioni italiane aumentano le startup innovative, i progetti di ricerca e sviluppo, le iniziative legate alla transizione digitale e green. La tecnologia non è solo un comparto a sé: è una chiave che può rendere più efficienti anche gli altri. Dal turismo digitale alle piattaforme per l’e-commerce della moda, fino ai sistemi di controllo avanzati per il gioco e la fiscalità, il digitale è ormai il filo che lega tutto.
Per bilanciare tutti questi settori ( e gli altri altrettanto importanti) serve una regolamentazione trasparente. Servono investimenti pubblici nelle infrastrutture e nella digitalizzazione, per sostenere turismo e competitività. Serve un vero sostegno all’innovazione, con incentivi per la ricerca, la formazione e il capitale di rischio. Serve una sostenibilità ambientale e sociale concreta, non di facciata, capace di preservare territori e comunità. Serve anche un sistema fiscale equo, che non schiacci le piccole imprese né i lavoratori, ma che premia chi produce valore reale.
L’Italia, oggi, si regge su colonne solide ma stanche. Il potenziale c’è, la creatività non manca. Ora serve una visione politica chiara, investimenti mirati e la volontà di credere che il progresso, se guidato con intelligenza, possa davvero far ripartire il Paese.