Nessuno ha reclamato quei corpi. Nessun parente, nessuna voce, nessuna mano tesa per l’ultimo saluto. Tre vite finite nel silenzio - un cittadino dello Sri Lanka, una donna ucraina e un uomo originario di Castellammare di Stabia - troveranno ora una degna sepoltura grazie all’intervento del Comune, chiamato a farsi carico di ciò che resta quando una persona muore senza nessuno. Sono storie che parlano di emarginazione, di povertà, di solitudini invisibili che spesso attraversano le città senza lasciare traccia. Almeno due di queste vite raccontano il viaggio di chi ha lasciato il proprio Paese inseguendo la speranza di un futuro migliore, trovando invece una fine lontana dagli affetti, in un luogo che non è mai diventato davvero casa. Di fronte all’
assenza di familiari o al loro disinteresse, è la legge a stabilire che spetti al Comune garantire la sepoltura delle persone indigenti. Una norma che diventa gesto concreto di civiltà, restituendo dignità anche a chi, in vita, ne ha avuta poca o nessuna. Non un atto formale, ma un dovere morale prima ancora che istituzionale: assicurare a tutti il diritto all’ultimo riposo. In un tempo in cui le cronache sono spesso dominate da numeri e statistiche, queste tre storie ricordano che dietro ogni corpo ci sono esistenze fragili, percorsi spezzati, sogni non realizzati. E ricordano anche che l’inclusione, l’assistenza e la cura delle persone più vulnerabili non possono fermarsi alla vita, ma devono accompagnare l’essere umano fino all’ultimo gesto.