E' ancora pericoloso e non può lasciare il regime di 41 bis. La Cassazione boccia il ricorso della difesa di Ferdinando Cesarano, boss di Ponte Persica che sperava di lasciare il carcere duro nel quale è rinchiuso da circa 20 anni. Nonostante la laurea conseguita durante la reclusione - in giurisprudenza e con la tesi proprio sulle difficoltà per i detenuti nel 41 bis - i giudici hanno preferito non accogliere le richieste dei legali. Cesarano, storico fondatore della cosca della periferia nord, resta in carcere. La difesa puntava sul cambiamento che il boss ha avuto durante i 19 anni di reclusione. E' infatti definito come un detenuto modello e che ha deciso di portare avanti gli studi giuridici. Ma non basta. Per la Cassazione se Ferdinando Cesarano dovesse lasciare il 41bis, potrebbe comunicare con gli affiliati ancora in libertà e controllare dal carcere gli affari della cosca. In pratica è un elemento pericoloso e di assoluta importanza nonostante gli anni lontani da Castellammare.
La cosca che prende il suo nome continua a controllare parte della città delle acque, anche senza il suo padrino. Negli anni si sono avvicendati diversi affiliati alla guida del clan, come per esempio Luigi Di Martino o Nicol
a Esposito che sono al momento detenuti. Ma, considerato che al momento quasi tutti gli esponenti di spicco sono in carcere, chi gestisce il clan? Un nodo che anche le forze dell'ordine stanno provando a sciogliere. Gli inquirenti non hanno mai spento i riflettori sui Cesarano che fanno delle estorsioni la propria principale fonte di guadagno. A differenza dei D'Alessandro che puntano anche sullo spaccio, la camorra di Ponte Persica preferisce il racket e la gestione degli appalti. Fin da quando Ferdinando Cesarano formò la cosca e diede inizio alla lunga faida contro Scanzano, gli affari hanno sempre abbracciato anche i Comuni vicini come Pompei e Scafati.
Il boss Cesarano comunque resterà al 41 bis ancora per diversi anni. Nonostante i 74 anni all'anagrafe, la sua pericolosità non è messa in discussione. In compagnia di Michele D'Alessandro, fondatore invece del clan di Scanzano, è stato protagonista degli anni di piombo a Castellammare quando gli omicidi erano all'ordine del giorno. Poi improvvisamente la pace, una pseudo alleanza che ha permesso ai due clan di dividersi la città. E ancora oggi quel patto è ancora rispettato. Periferia nord in mano ai Cesarano, centro e zona collinare ai D'Alessandro.